Di Béatrice Sciarrillo.
L’arte di legare le persone, edito da Einaudi, è il primo libro di Paolo Milone. Nato e cresciuto a Genova, Paolo Milone è di mestiere psichiatra: nel 1980, comincia a lavorare in un Centro Salute Mentale poco dopo la loro istituzione, e poi, dal 1988 al 2016 ha lavorato in un reparto psichiatrico ospedaliero.
Il suo esordio narrativo è difficile da definire, difficile da classificare entro i canonici generi narrativi. Non è un romanzo né un diario, non è un epistolario né una raccolta poetica. In merito a ciò, lo scrittore genovese ha dichiarato, in un’intervista a Il Librario, di aver preso ispirazione dagli Epigrammi di Marziale. Dal poeta romano, infatti, Milone ha tratto la forma del frammento, capace, più di ogni altro espediente narrativo, di creare una forma di dialogo – fluente e aperto – rivolto a uno specifico destinatario.
Perché i destinatari di questi pensieri messi per iscritto – di questi brandelli di cartelle cliniche – sono Emilio, Lucrezia, Filippo, Luciano – i pazienti con cui Paolo Milone è stato capace di costruire un rapporto di umanità durante la sua attività professionale –, ma anche Marcello e Giulia – i giovani medici a cui Milone lascia il testimone.
In questa raccolta di pensieri poetici, Milone blocca, come in un’istantanea, un angolo del reparto, un paziente che urla e piange – perché, solo in questo modo, è in grado di esprimere il suo malessere – l’istinto naturale di un giovane psichiatra ad accorrere, immediatamente, a quelle urla così come un genitore va in soccorso del suo bambino in lacrime.
Senza ricercare vuoti e frivoli artifici retorici, ma in modo nudo e pungente, Milone descrive quella che è stata la sua vita da psichiatra: un viaggio – disperatamente disperato – alla ricerca del dolore degli altri. Ricercare il dolore degli altri significa, prima di tutto, esserci; non lasciare il paziente da solo, ma comunicargli la tua presenza. Anche se il tuo esserci non andrà a ridurre la sua condizione di solitudine, tuttavia la presenza dello psichiatra andrà ad accogliere il dolore del paziente. Perché il dolore psichiatrico esiste – eccome se esiste – e chi lo nega – chi si ostina a riconoscere l’umanità tutta uguale, senza sfumature che sono le nostre differenze – non ha mai conosciuto il dolore psichiatrico.
Riconosciuta l’esistenza del dolore psichiatrico e del paziente psichiatrico, lo psichiatra deve prendere atto del fatto che non esistano dei protocolli da seguire, ma ogni psichiatra, di fronte a un nuovo caso clinico, è inerme, non sa cosa dire e cosa fare, si sente matto tra i matti, e non trova le parole adatte per spiegare al paziente quello che succede dentro di lui. Ogni volta che lo psichiatra si pone di fronte a un nuovo paziente, comincia un nuovo viaggio: un viaggio verso le persone, dentro le menti delle persone.
Lo psichiatra che entra in reparto è come il pescatore che va al mare. Come il pompiere che va a salvare chi si perde in un incendio. Come la prostituta che offre conforto a chi si trova in una condizione di solitudine e povertà spirituale. Tuttavia, a uno psichiatra non hanno insegnato come dare conforto: lo psichiatra è infatti un bagnino senza un brevetto, un pescatore senza rete, un pompiere senza idrante.
Tante le tematiche affrontate in questo prezioso compendio di pensieri: il suicidio e le cause – nascoste e inconoscibili – per cui chi soffre si suicida; l’eticità di costringere una persona a curarsi; l’eticità di legare una persona e il conseguente obbligo morale di non abbandonare il paziente; il rapporto tra medici e infermieri, e come questi ultimi si rivelano, con il passare degli anni, degli scaltri psicologici a cui richiedere le previsioni meteo prima di entrare in reparto. Sullo sfondo, la città di Genova, “una città di scorciatoie e cammini, una città in discesa, piena di scale, muraglioni, finestre davanti al cielo”, in cui Paolo Milone, presa consapevolezza del suo affanno sui sentieri della montagna, ha l’umiltà di cedere il testimone ai nuovi medici.
Paolo Milone
L’arte di legare le persone
Einaudi, 2021