Una storia di amicizia tra due ragazzi così diversi da assomigliarsi, un viaggio avventuroso e spirituale fatto di fughe e tentativi di ritorno, alla continua ricerca di una strada per riconoscersi.
Paolo Cognetti torna in cima alle classifiche con “Le otto montagne”, scritto nel 2016 e pubblicato per Einaudi gli valse il premio strega l’anno successivo, rendendolo già all’epoca uno dei libri nostrani di maggior successo.
Il motivo di questo rinnovato interesse è il film uscito il 22 settembre nelle sale italiane. Diretto da Van Groeningen e Charlotte Vandermeersh ha vinto il premio della giuria al 75° Festival di Cannes ed è in concorso per la Palma d’oro. Con protagonisti Alessandro Borghi e Luca Marinelli il film sta riscontrando ottime recensioni anche dal pubblico, con buoni risultati anche al botteghino.
Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po’ scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l’orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo «chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l’accesso», ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E lì, ad aspettarlo, c’è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, «la cosa più simile a un’educazione che abbia ricevuto da lui». Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero: «Eccola lì, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino». Un’eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.