Cinque anni dopo la scomparsa di Sergio Marchionne, avvenuta il 25 luglio 2018 in una clinica di Zurigo, ci si chiede quale sia il suo lascito. Molto è rimasto vivo tra coloro che lo hanno conosciuto e nel gruppo che ha contribuito a far crescere. Tuttavia, nel Paese in cui ha svolto la parte più importante della sua carriera da manager, l’impatto di questo atipico italiano, poco incline alle caratteristiche nazionali, è stato minimo. Questa è la risposta offerta dalla nuova edizione aggiornata della biografia di Sergio Marchionne, scritta dal giornalista di Bloomberg Tommaso Ebhardt, pubblicata per la prima volta nel 2019 e ora presentata con un’integrazione iniziale di circa cinquanta pagine. In queste pagine, l’autore si avvale della prospettiva del tempo per riflettere sulla figura di Marchionne e intervistare alcuni dei protagonisti di quel periodo.
“Stellantis non sarebbe stata possibile senza Sergio”, ricorda John Elkann, che insieme a Marchionne ha portato la Fiat ad acquisire una Chrysler quasi fallita, per poi creare, dopo la morte del manager, il nuovo gruppo Stellantis. Elkann è oggi un importante azionista e presidente di Stellantis, insieme alla società francese Peugeot. “Ha realizzato una rivoluzione che solo un vero outsider come Sergio poteva portare avanti”, afferma Elkann, che riveste anche la stessa carica in Gedi, il gruppo editore de La Repubblica.
Senza dubbio, l’underdog Marchionne – termine che l’uomo stesso sentiva proprio ben prima che entrasse nel dibattito politico – ha avuto la capacità di polarizzare le opinioni come pochi altri. Manager dalle intuizioni geniali, “disruptor” e contestatore dell’ordine costituito per vocazione, è stato elogiato dai mercati finanziari non solo per la crescita della società, ma anche per la crescita effettiva delle attività industriali che gli erano state affidate. Tuttavia, è stato oggetto di forti critiche da parte dei sindacati e di una parte della classe politica, sia di destra che di sinistra, a causa del suo carattere poco incline alla mediazione e soprattutto per la sua visione che ha portato il gruppo Fiat ad espandersi – secondo l’accusa più comune – sempre più al di fuori dei confini italiani.
Questa non è stata una casualità, ma un piano strategico adattato e modificato con una velocità sconosciuta agli orologi e ai calendari italiani, in base alle opportunità (e ai pericoli) provenienti da un mondo sempre più globale. Ed è proprio in questa capacità di muovere le pedine di un gruppo italiano ed europeo su uno scenario mondiale che Elkann non vede solo le competenze manageriali di Marchionne, ma anche una spinta ideale: “Sergio era un patriota nel senso più elevato del termine. Le nostre battaglie sono state sempre battaglie per l’Italia, mai contro l’Italia”. In risposta alle critiche sul fatto che il nuovo gruppo Stellantis, con la sua base a Torino-
Parigi-Detroit, sta spostando il suo baricentro verso la Francia, Elkann risponde prontamente: “Senza Stellantis, gli investimenti italiani, da Torino alla gigafactory di Termoli, non sarebbero possibili”.
Tutto ciò è anche il risultato della personalità di un uomo che, come descritto da Ebhardt, ha costruito il suo mito attraverso l’azione per sottrazione: non solo con i maglioncini acquistati in saldo online al posto dei tradizionali doppiopetti finanziari e le borse della spesa che rivelavano i caricabatterie di numerosi telefoni invece delle classiche ventiquattro ore, ma soprattutto agendo in modo sostanziale: affrontando i problemi alla radice, persino se si trattava di sistemare i bagni nello stabilimento di Pomigliano d’Arco, poiché è lì che bisogna iniziare per trasformare uno degli impianti più disastrati del gruppo. E applicando ciò che predicava: “Non tollero stronzate”. Non solo inteso come aspetti cerimoniali, ma anche come sovrastrutture ideologiche applicate a un settore che ha regole inderogabili.
L’eredità di Marchionne è viva anche tra i suoi “figli adottivi”, i giovani manager che amava prendere dal basso della gerarchia aziendale per promuoverli e metterli alla prova. Molti non sono riusciti ad andare avanti, ma altri, come Luca de Meo, attuale CEO di Renault, e Antonio Baravalle, amministratore delegato di Lavazza, ricordano le sue dolcezze e le sue durezze, ma soprattutto l’impronta del suo metodo di lavoro, che hanno portato con sé anche dopo aver intrapreso percorsi diversi. Questo lascito prezioso e condiviso, tuttavia, non ha radici al di fuori del contesto aziendale, poiché il ricordo pubblico di Marchionne sembra già sbiadito. L’uomo che ha cambiato la Fiat, spesso andando contro la cultura nazionale, non è riuscito – e forse non poteva farlo in altro modo – a cambiare un Paese sempre più intimorito dalla modernità.