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Vi spiego come difendersi (e curarsi) dal virus complottista

Di Errico Buonanno

Piccole avventure social. Ho scritto un libro sulle teorie di complotto, Non ce lo dicono (Utet). Mi hanno invitato in TV, e il giorno dopo la mia pagina Instagram è stata presa d’assalto da uno sconosciuto che si firmava “Risveglio”. Il tipo di commenti era grossomodo il seguente: «Spazzatura», «Non ce lo dicono mondezza», «Ti pagano per scrivere questa spazzatura?», «Sotterrati», «Servo del sistema». Naturalmente il fatto che il mio libro possa essere spazzatura, o bruttino, o anche soltanto discutibile, oh, beh, è nell’ordine delle cose, ma il punto adesso non è questo. Piuttosto il fatto interessante era che, molto banalmente, “Risveglio” il mio libro non l’aveva letto. Né poteva essersi urtato più di tanto per l’intervista, visto che lì avevo parlato di una teoria di complotto contro i Borbone nell’Ottocento siciliano (o almeno non penso si fosse urtato per questo, vai a sapere).

No: ciò che l’aveva inviperito era evidentemente l’argomento. Lui ce l’aveva con chi scriveva di complotti, in assoluto, in toto, come categoria platonica. Se scrivevo di complotti, io ero un servo del sistema, indipendentemente da chi fossi, indipendentemente da quali prove portassi, indipendentemente da quali complotti trattasse il mio libro, perché se dubiti delle teorie di complotto (fossero anche quelle che dicono che i Teletubbies hanno messaggi subliminali per far diventare i bambini gay; teoria vera, giuro) sei un servo.

Dopo avermi insultato, però, “Risveglio” mi proponeva un confronto, per poter rispondere «pagina per pagina» al mio libro. Sarò strano io, lo so, ma invece di mandarlo a quel paese, gli rispondevo che, beh, nonostante gli improperi, se aveva voglia di leggere davvero pagina per pagina il mio libro, ci si poteva pensare. In fondo, per uno che si firmava “Risveglio” ed era un campione dell’informazione alternativa, leggere ciò di cui stava parlando invece di fidarsi di ciò che aveva sentito in TV era il minimo. E qui arrivava il colpo di scena. Risposta di “Risveglio”: «Ti lavi i denti con il dentifricio?» Confesso, questo mi ha spiazzato: sì. «Allora mi spiace, ma non mi confronto con chi ancora si butta il fluoruro in bocca. Non saresti alla mia altezza. Ecco perché scrivi libri del genere». Addio.

Se ho raccontato questo aneddoto, che è uno dei tanti che può capitare a chi ha la pessima idea di occuparsi di teorie di complotto e di lasciare le sue pagine social aperte, è perché credo che ponga una questione cruciale. Ovverosia: discutere ha un senso? E dunque provare ad analizzare le teorie di complotto, a raccontarne la genesi e a dimostrarne la falsità, serve davvero a qualche cosa? E in definitiva (mi sto un po’ deprimendo) che ho scritto a fare Non ce lo dicono?

Viviamo in tempi complicati, anche se, forse, non più di tanti altri. Tempi in cui il complottismo si concentra sulla pandemia a vario titolo: chi se la prende coi vaccini capaci di controllarci tramite il grafene e i metalli pesanti, così come un anno fa, quando il vaccino era soltanto una speranza, c’era chi dava fuoco alle antenne 5G o, per chi se l’è dimenticato, puntava il dito contro i soldati americani che stavano sbarcando in Italia proprio durante il lockdown per invaderci. Dall’altra parte dell’oceano, soltanto pochi mesi fa i fan della vera e propria setta complottista QAnon – convinti che una élite di pedofili che ha base in una pizzeria succhi il sangue ai bambini – invadevano il parlamento infangando la democrazia americana. La caratteristica di queste teorie di complotto è che, come spesso accade, se la prendono con un sistema composto da medici e scienziati, governi e canali di informazione, e sostengono tutte che la verità sia quella che solo poche voci libere su internet riescono a fare passare.

Ora, il problema di questa impostazione è evidente: è qualche cosa di assolutamente impossibile da smontare. Chi mai potrebbe dimostrare che la Terra è sferica e non piatta, se non la Nasa, gli astrofisici, le immagini dei satelliti? Ma se ci convinciamo che siano proprio la Nasa e gli astrofisici a volerci nascondere la verità, sarà impossibile presentare qualunque dimostrazione della sfericità della Terra. Quali prove dovremmo portare per dimostrare che i vaccini sono efficaci se non i numeri e le ricerche dei medici, delle università, dei centri di ricerca? Ma se è proprio la medicina “ufficiale” a essere accusata di fare parte del complotto, va da sé che la loro autorità crolla. Se invece qualcuno (fosse anche un medico) dice qualcosa che viene smentito dalla stragrande maggioranza del mondo scientifico, questo diventa la prova che quel qualcuno è una voce libera, e perciò merita fiducia. Ci si dice: anche Galileo era minoranza rispetto al pensiero corrente. Certo. Peccato che con Galileo sia nato il metodo scientifico e, insomma, lui ha portato delle prove; fidarsi di ciò che stava scritto per “fede” era invece il metodo dell’inquisitore Bellarmino. Il risultato è che qualunque autorevolezza è distrutta, e che si creano degli autentici cortocircuiti logici: il fatto che tutte le ricerche mediche smentiscano che esistono microchip nei vaccini diventa la prova che c’è il microchip. Perché? Beh, ma è ovvio: perché non ce lo dicono.

Niente di nuovo sotto il sole. Semplicemente perché le teorie di complotto ci sono sempre state, e perché il pensiero complottistico ha funzionato così in ogni epoca. Era il 1921 quando il Times riusciva a dimostrare senza ombra di dubbio che i Protocolli dei Savi di Sion, il più aberrante testo antisemita di tutti i tempi, era un falso: era copiato quasi parola per parola da un pamphlet di Maurice Joly contro Napoleone III. Poco importava, però: campioni dell’antisemitismo come Telesio Interlandi, direttore de La difesa della razza, e filosofi come Julius Evola, continuarono per anni a ripetere che quel contava era la “veridicità” del testo. Ovvero, anche se era un falso, raccontava comunque cose vere. Nel 2001, si sparse la voce che nessun ebreo fosse morto nelle Torri Gemelle, prova che il tutto era stato organizzato dai servizi segreti israeliani: li avevano avvertiti di non andare al lavoro. Quando però si venne a sapere che 130 ebrei erano morti nelle Torri, la voce di internet rispose che il Mossad mica era così stupido da fornire una prova del suo coinvolgimento. Dunque era stato comunque il Mossad.

Non se ne esce. Qualunque prova contraria non riuscirà a scalfire la dietrologia, per una semplice ragione: il nostro cervello ne ha bisogno. Abbiamo bisogno, cioè, di credere di avere capito la trama segreta, malvagia ma almeno razionale, che si nasconde dietro al caos. La vera paura non viene tanto dal sospetto che esista un piano dittatoriale dietro ai vaccini, o che un incidente, o un attentato, o anche un disastro naturale sia frutto di un grande disegno satanico. Se il piano l’abbiamo smascherato (beh, questo almeno ci diciamo) significa che si può sconfiggere. Quel che davvero terrorizza è l’esatto opposto: il sospetto che il piano non esista; che siamo in balia di virus, terremoti, cambiamenti climatici, e insomma che così vada la vita, senza bisogno di una setta segreta. Ecco perché nessuna logica riuscirà mai a scalfire le convinzioni del complottista: perché qui la logica non c’entra, stiamo parlando di un istinto primario.

E ritorniamo allora al punto di partenza: perché ragionare di teorie di complotto? A cosa serve studiarne le dinamiche, sempre identiche, tragicamente ricorrenti da millenni? La risposta che mi sono dato è semplice: serve a prevenire. Serve a noi. Esattamente come un vaccino (tanto per ritornare a temi cari alle dietrologie) non serve a curare l’infezione, ma a impedire di contrarla. Dato che, se la dietrologia ci serve, significa che nessuno di noi ne è immune.

Il complottismo non è un meccanismo in cui cadono gli stupidi o gli incolti, ma a cui cediamo in forme più o meno gravi parecchie volte al giorno. Tutte le volte che leggiamo una notizia troppo più grande di noi o una fake-news di cui non sappiamo niente, tutte le volte che apriamo i social e ci imbattiamo in discussioni di sedicenti esperti, tutte le volte che sul lavoro o in amore qualcosa non va come vorremmo, o che ci chiediamo: «Ma perché proprio a me?», l’idea che il mondo abbia un piano per colpirci si fa inevitabilmente strada all’orizzonte. Dovremmo essere tuttologi, dovremmo essere anche noi esperti di qualsiasi cosa per capire se ciò che sentiamo sulla pandemia è plausibile, o se è vero che le Torri Gemelle non potevano crollare in quel modo se colpite da un aereo. E perciò l’unica arma che abbiamo per difenderci è conoscere quella trama di base, quella struttura narrativa che, cambiando il nemico di epoca in epoca, accusava i gesuiti di ogni nefandezza nel XVII secolo, e gli Illuminati cento anni più tardi, e gli ebrei tra Otto e Novecento. La trama era identica: un documento top-secret, un piano complicatissimo, una dittatura all’orizzonte, ma poteva essere applicata alle novità del presente. Siamo tutti complottisti e dunque dobbiamo conoscere la Storia. Per sapere che la dietrologia non è un semplice elemento comico da deridere, ma che può provocare delle conseguenze pesanti: con la dietrologia si sono giustificate guerre e regimi, come oggi rischia di compromettere seriamente la situazione sanitaria. E dobbiamo conoscerla per riconoscerla dentro di noi; riconoscere la trama ogni volta identica, applicata al nuovo nemico di turno; riconoscere il cattivo consigliere su internet e la straordinaria presunzione di saperne sempre più degli altri. Riconoscere la voce che ci sussurra: «Non ce lo dicono» e ricordarci che, il più delle volte, è perché non c’è un bel nulla da dire. Non basterà a tranquillizzarci. Ma aiuterà a non aggiungere caos a quel grande e caotico complotto che è la nostra vita.

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