Analizzare, esaminare, valutare e, soltanto dopo aver assunto una dose ragionevole di cognizione di causa, fornire un contributo utile alla comprensione dei nuovi equilibri in costruzione nel Medio Oriente. Ben consapevoli che gli accadimenti e le spinte espansionistiche in atto, dei quali l’ultima deriva afghana – legata al ritiro delle truppe militari Usa – rischia di rappresentare soltanto un aspetto del problema, non potranno non implicare le azioni degli Stati occidentali.
“La pandemia ha riacceso la polveriera del Levante. I rapporti di forza tra le democrazie occidentali e i grandi regimi orientali, dalla Turchia alla Russia, fino alla Cina, si stanno trasformando. Guardare a Occidente non basta più. Il nostro futuro geopolitico si decide fuori dai nostri confini, tra il Mediterraneo e il Medio Oriente”. E’ una parte dell’analisi fornita all’attualità internazionale da Gilles Kepel, docente francese (insegna all’Institut d’études politiques di Parigi, dove dirige la cattedra Moyen-Orient Mediterranée) tra i più importanti studiosi occidentali del mondo arabo.
Con il saggio “Il ritorno del Profeta” (Feltrinelli 2021) Kepel fornisce più chiavi di lettura al complicato mutamento degli scenari, e nel mondo islamico e nel rapporto dell’Occidente con questi cambiamenti. Ponendo l’accento sul perché, e in quale misura, i nuovi aspetti finiscono per mettere in evidenza, con un ruolo di primo piano, alcune figure piuttosto che altre. Quelle già pronte a occupare quegli spazi – anche e soprattutto economici, oltre che di influenza – che, anche nella politica estera, si creano quando i punti di riferimento mutano rapidamente. Punti di riferimento che disegnano una nuova mappa del mondo arabo.
Il politologo francese fornisce molti spunti. Già il sottotitolo del suo saggio è eloquente: Perché il destino dell’Occidente si decide in Medio Oriente.
Il nodo attorno al quale rischiano di avvilupparsi le politiche estere del mondo contemporaneo – con buona pace delle Nazioni Unite – parte dalla firma degli accordi di Abramo, sostenuti dalla politica estremamente utilitaristica di Trump. Si tratta dell’intesa tra Israele e le nazioni arabe Bahrein, Emirati Arabi, Sudan e Marocco, arrivata oltre 70 anni dopo la creazione dello Stato ebraico e il sorgere del conflitto tuttora irrisolto con i palestinesi.
Di fronte a questa realtà buonista Kepel mette sul piatto gli “oppositori” riuniti intorno all’asse della Fratellanza sciita (con i sunniti le due metà dell’Islam) che raggruppa Qatar, Iran e Turchia. Stati che predicano un Islam più politico ed espansivo, per i quali l’islamista conia la definizione di “jihadismo d’atmosfera”. Una componente che inquadra la figura del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, in prima fila nella contesa sui diversi scacchieri dall’area (nella regione mediorientale, dal Libano alla Siria, dalla Libia allo Yemen al Corno d’Africa).
Il ruolo che la Turchia vuole giocare è di primissimo piano, agendo di sponda con la Russia e – quando serve – strizzando l’occhio alla Cina capitalista, altro primo attore autoinvitatosi al rassemblement. Ecco perché Erdogan ha iniziato a spingersi fino all’Afghanistan per occupare lo spazio (un altro esempio) che gli Usa non hanno più ritenuto utile custodire. Fattore che ora, avverte ancora Kepel, innesca per Washingtown la grande incognita su come contenere la ritrovata influenza di Mosca nell’area.
Anche per quest’ultimo aspetto sarà necessario fare affidamento al timone che Erdogan si appresta a impugnare? Lo studioso francese, nel valutare la “nuova espansione dell’ottomanesimo turco nel Mediterraneo”, ricorda altri aspetti che coinvolgeranno l’Italia: l’impegno di Ankara nel dare sponda e legittimità al governo di Tripoli.
Nel giro di pochi mesi, quelli della pandemia, “la mappa del Medio Oriente e del Nord Africa ne è uscita sconvolta, con trasformazioni nel Mediterraneo che riguardano l’Italia e gli Stati dell’Europa meridionale. Il Profeta è tornato a essere decisivo nei rapporti di forza della nostra geopolitica”: i ragionamenti di Kepel non tralasciano di scrutare quel mare oscuro in cui navigano “gli imprenditori della paura che mobilitano folle e social network nel mondo musulmano contro l’Occidente”.
Se a questi aspetti, a cui il saggio di Kepel fornisce un’indispensabile chiave di ragionamento, si aggiunge la politica “poco coordinata e conflittuale dell’Unione Europea”, ecco che il Mediterraneo e il Medio Oriente diventano una polveriera sempre più minacciosa. In un intreccio di eventi “in un’area tanto complessa quanto determinante per comprendere i grandi sconvolgimenti del nostro mondo contemporaneo”.