in

L’America oltre lo stereotipo, centosessant’anni di battaglie per i diritti civili

Di Andrea Molle

L’America è considerata, per molti versi, a torto o a ragione, il centro del mondo. Molti sono i commentatori che oggi ne scrivono, spesso per criticarla abbondantemente e altrettanto frequentemente per lodarla malgrado i suoi tanti difetti. Quasi tutti però parlano dell’America senza conoscerla realmente o accettarla per quello che è. Alle volte, questi stessi commentatori, preferiscono limitarsi a descrivere uno o più dei tanti opposti stereotipi che gli Europei, e in particolare gli italiani, hanno dell’America. Per alcuni, l’America è una forza benevola di polizia planetaria, mentre per altri è una forza maligna di occupazione perenne. Da patria morale della libertà, il famigerato “symbol of freedom and democracy”, a nazione crudele e matrignia di un impero occidentale ormai in decadenza. Tutti questi contributi hanno in comune una cosa: dell’America loro non hanno capito molto. O non vogliono capire, preferendo la pigrizia intellettuale alla riflessione. Noi italiani, in particolare, quando parliamo e scriviamo di America, o meglio di Stati Uniti, abbiamo il vizio di trattarla come un paese giovane e immaturo ignorando che, come nazione, ci separano ben 85 anni a loro favore. E la guardiamo dall’alto verso il basso, con una spocchia inaccettabile anche perché l’America ha molto da insegnarci. Un errore, molto comune, che questo libro non compie.

Di America oltretutto non ne esiste solo una. Esistono invece molte realtà, agglomerate tra loro in una società estemamente diversificata al suo interno. Un mondo complesso che fino a poco tempo fa era comunque unito, magari anche solo a parole, da un sentimento e una storia comuni che lo hanno accompagnato in un percorso durato, se vogliamo prendere il 1776 come hanno di nascita del Paese, ben 244 anni. In questa sua storia fatta di momenti di gloria e momenti di sofferenza e crescita, l’America ha saputo quasi sempre mettere da parte le proprie divisioni per far fronte comune contro ogni minaccia esterna. Ma è la minaccia interna quella dalla quale ha sempre faticato a proteggersi. La prima grande crisi sociale prima che politica, e che tutti noi ricordiamo, fu quella tra gli Stati del Nord e quelli del Sud e va sotto il nome di “Guerra di secessione”. Due mondi e due sistemi economici agli antipodi. Da una parte il Nord, industrializzato e moderno con un’idea di Unione forte e integrata, dall’altra il Sud, agricolo e dipendente sia economicamente e socialmente dall’istituto obsoleto della schiavitù, con un’approccio Confederale. Una distanza che non poteva che sfociare in una guerra che deve essere un monito anche per l’Europa impegnata oggi nello stesso dibattito che vede contrapposti i fautori dell’Unione politica a quelli della Confederazione di Stati nazionali. Abraham Lincoln, forse il più famoso dei presidenti americani, riuscì nell’opera titanica di salvare l’Unione dalla dissoluzione. Ma un’altra divisione si preparava nelle ceneri della guerra civile. Quella tra Democratici e Repubblicani, partiti che un tempo erano accomunati dal rispetto dei principi fondamentali della civilità del dibattito politico e dal perseguimento dell’interesse nazionale, che oggi minaccia ancora una volta di spaccare il Paese. Si badi bene che gli Stati Uniti non sono sempre stati un paese bipolare né bipartitico. Negli anni altri movimenti si sono affacciati nell’area politica nord-americana, soprattutto ai suoi estremi. Democratici e Repubblicani, pur distinti non erano certo distanti sui grandi temi di interesse nazionale. Ma l’ampiezza geografica e la profonda frattura esistente tra la parte urbana e quella rurale del paese hanno finito per favorire nel tempo il consolidarsi di una contrapposizione accesa tra l’anima progressista e multiculturale del paese, concentrata nelle città, e quella populista e xenofoba tipica delle sterminate campagne nord-americane. Questa contrapposizione che a partire dal 2009, l’anno di fondazione del Tea Party, ha corroso dall’interno i due grandi partiti nazionali finendo per trasformali in contenitori di estremismi. In particolare, il partito Repubblicano è quello che più ha sofferto di questo attacco ai principi fondamentali della democrazia, e del dibattito politico, americano. Da Grand Old Party, casa della saggezza del miglior conservatorismo mondiale a giocattolo nelle mani del populismo, il partito che fu di Lincoln, Reagan e Bush rischia oggi di sparire travolto dal più becero cospirazionismo.

In questa sua ultima opera, L’America da Abramo Lincoln a Joe Biden: Centosessant’anni di battaglie per i diritti civili Marco Mensi ci racconta una parte di questa storia americana, a partire da Abraham Lincoln fino ad arrivare, passando per Barack Obama e Donald J. Trump, alla Presidenza di Joe Biden. Da profondo conoscitore della storia della Destra, Marco ci accompagna nel mondo della politica americana e lo fa in modo fruibile ma estremamente sofisticato, tenendo sempre ben presente il filo conduttore della spaccatura ormai evidente tra queste due americhe creata dal crescere dell’onda populista. La speranza, che condivido con Marco, è che Biden sappia ricomporre questa frattura restituendo al mondo quell’America che ha saputo guidarlo nei suoi momenti più bui.

L’America da Abramo Lincoln a Joe Biden: Centosessant’anni di battaglie per i diritti civili
Marco Mensi
L’Universale

Andrea Molle è docente di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Chapman University dove si effettua attività di ricerca nello studio della violenza politica, religiosa, e del populismo. Si è occupato recentemente di QAnon e del tema del cospirazionismo militante in America e Europa. Cittadino Italiano e Americano vive da più di un decennio negli Stati Uniti.

Viaggio fino alla fine del tempo, oltre i limiti della realtà

Giorgio Fontana vince il premio “Alvaro-Bigiaretti” 2021