“Se per voi è impossibile stare fermi, se preferite sbagliare direzione piuttosto di non decidere, se ogni tanto sentite una scimmietta sulla spalla che vi spinge a lanciarvi in qualche avventura insensata, la mia storia è un po’ anche la vostra. Se invece siete dei sereni a oltranza, attenzione: questo libro potrebbe farvi venire la tentazione di invertire la rotta”.
È uscito l’8 settembre per Rizzoli “Never Quiet. La mia storia (autorizzata malvolentieri)”, il nuovo libro dell’imprenditore piemontese 67enne Oscar Farinetti in cui il papà di Eataly racconta il suo percorso guidando il lettore in quello che diventa un inno alla leggerezza consapevole, spronandolo all’azione e a dare sempre di più in tutti gli ambiti della vita professionale. Dai primi anni a fianco del padre fino alla sua rocambolesca esperienza da leader, Oscar Farinetti ci mostra cosa significa per lui “fare impresa” con coraggio e quali sono i valori essenziali del buon “mercante”, ma anche cosa vuol dire scontrarsi con la burocrazia e come scegliere buoni compagni di viaggio.
Tra i suoi, di compagni di viaggio, c’è stato certamente Matteo Renzi. Di cui “si innamorò” ma a cui ha detto di no quando l’ex premier gli propose di fare il ministro, come lo stesso Farinetti ha raccontato ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. “Entrato a Palazzo Chigi, mi spiegò che aveva bisogno degli amici per governare il Paese. Ma io faccio politica con il mio mestiere di imprenditore italiano nel mondo – ricorda -. Lo conobbi nell’ottobre del 2009, era appena diventato sindaco di Firenze, se la menava un po’ da Magnifico. Me lo trovai di fronte a Torino. Lo portai in giro per Eataly. Era veloce, anzi velocissimo. Capiva al volo le dinamiche di un’azienda. Divorò un piatto di carne cruda da gran goloso. Lo confesso: me ne innamorai. Ma a me non ha mai chiesto un euro. E quando venne a Expo da presidente del Consiglio a mangiare la carne cruda, pretese di pagare. Detto questo, forse ha sbagliato a personalizzare il referendum, e dopo la vittoria del no avrebbe dovuto lasciare: sarebbe stato richiamato e portato in trionfo. Invece ha continuato a sbagliare: da ultimo creando il suo partitino, anziché restare nel Pd. Ma è stato uno dei migliori premier che l’Italia abbia avuto. Non rinnego l’amicizia. Anche se, quando mangiamo insieme un piatto di carne cruda, non riusciamo più a sentire il meraviglioso sapore di quel giorno d’ottobre del 2009”.
In “Never quite” – “Non l’ho scritto io, ma la scimmietta che da sempre mi porto sulla spalla” chiosa – c’è molta vita vissuta da Oscar Farinetti e dalla sua famiglia. “Il mio primo ricordo è di mio papà al lavoro da mattina a sera nel pastificio di famiglia, in pieno centro ad Alba, dove ora c’è una libreria – racconta a Cazzullo -. Impazziva per fare i tajarin arricciati a nido: li inventò lui, e li chiamò langaroli. Allora non sapevo che quell’uomo infarinato dalla testa ai piedi era un eroe: ogni volta che camminavo con lui per strada, qualcuno lo fermava per ringraziarlo. Erano i parenti dei condannati a morte che aveva liberato, durante la Resistenza: papà si era vestito da contadinaccio ed era arrivato davanti al carcere con un pacco troppo grande per passare dalla porta. Con quello stratagemma si fece aprire, poi puntò la rivoltella alla tempia del secondino, fece entrare due compagni, a mitra spianato liberarono diciassette prigionieri. Poi fuggirono a piedi evitando i colpi dei fascisti che sparavano dalle finestre…”.
Poi Unieuro, l’azienda di famiglia, e la nascita di Eataly, fiore all’occhiello della qualità del gusto italiano nel mondo. “Non mi piacciono quelli che si proclamano orgogliosi di essere italiani. Mica hanno fatto loro il Colosseo. Io sono riconoscente di essere italiano – afferma -. Ho aperto a Torino perché da Torino è iniziato tutto. L’unità d’Italia, l’automobile, il partito liberale, il partito comunista, la penna a sfera Bic, i pelati Cirio, la televisione. Pensano che la moda sia nata a Milano, le cooperative a Bologna, il cinema a Roma. Non è vero, sono tre primati torinesi”.
In Italia esistono mille modi diversi per convincere qualcuno a desistere dal fare qualcosa. Il romano “gnafà”, il perentorio veneto “non se pol”, il laconico piemontese “niente da fé”. Oscar Farinetti se l’è sentito dire spesso, ma ha avuto sempre la meglio la scimmietta un po’ fuori di testa che da sessantasette anni vive sulla sua spalla e lo spinge costantemente verso nuove imprese. Alcune finite molto bene, altre meno. Sia Oscar sia la sua scimmietta sanno però che nella vita se non ci si mette in cammino non si arriva da nessuna parte, e che l’indecisione provoca uno stato di infelicità, per sé e per gli altri. “Bad decision is better than no decision” è una delle prime lezioni di questo libro: si prende una direzione e si tengono gli occhi bene aperti sulla strada. Troppo lavoro, poco lavoro, padroni egoisti, lavoratori scansafatiche, giovani indolenti, anziani egocentrici…
Perché ci sentiamo sempre vittime di qualcun altro? Oscar Farinetti si è ribellato a tutto questo e nella sua autobiografia “autorizzata malvolentieri” racconta come ci è riuscito. La sua storia dimostra quanto sia importante la squadra con cui si sceglie di lavorare, quanto conti avere accanto la donna giusta – “Sto con mia moglie Graziella da tutta la vita, senza di lei non avrei fatto niente – racconta -. Aveva 19 anni e vendeva latte alla fiera del Tartufo di Alba, passai davanti al suo stand cantando ‘bevete più latte, il latte fa bene’… Ci sposammo quasi subito. Prima notte di nozze in tenda, sotto il Monte Rosa. Nel mio egotismo, anziché ‘ti amo’, le dicevo: ‘sei contenta che mi piaci?’ Poi la portai a Venezia, in una pensione a una stella” – e i molti amici che sono ancora con lui e si divertono come matti quando lo vedono “intignarsi” in un nuovo progetto. Nel libro ci sono anche loro, ma c’è soprattutto l’accanimento lucido e irriverente di una scimmietta inquieta.
Oscar Farinetti
Never quiet. La mia storia (autorizzata malvolentieri)
Rizzoli