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Fulvio Abbate racconta Pasolini e il coraggio lasciato in eredità

Di Mimmo Cacciola

Abbiamo intervistato lo scrittore palermitano in occasione della recente pubblicazione del libro dal titolo Quando c’era Pasolini edito da Baldini+Castoldi per sentire dalla sua viva voce un pensiero, come sempre lucido, non solo sul suo lavoro e sull’opera dello scrittore scomparso tragicamente, ma anche del momento che viviamo, della società e sulle celebrazioni contro le quali si scaglia. Soprattutto contro coloro che oggi si sentono i nipoti dello scrittore e che definisce appartenenti al gruppo “dell’amichettismo veltroniano”.

Parlare con Fulvio Abbate di e su Pier Paolo Pasolini, a cento anni dalla nascita del poeta, vuol dire evocare epifanie che pensavamo non fosse più possibile, in tempi come questi, meritare per la gioia delle orecchie e della mente. Eppure di libri su Pasolini, Fulvio Abbate, un po’ precisando ed un po’ vantandosene, ne ha scritti ben quattro. Noi di Aforismi.it lo abbiamo intervistato per farci raccontare del suo lavoro, di Pier Paolo Pasolini e di questa società così come la conosciamo e critichiamo.

Questo libro prova a raccontare in presa diretta – leggiamo nelle note editoriali – il cammino di un intellettuale il cui pensiero appare ancora adesso essenziale per fare luce sul presente odierno. Fulvio Abbate prova, con le armi di una scrittura perfino poetica, a restituire la vita, le ragioni, l’eredità, i luoghi, la sostanza umana, familiare e storica di Pier Paolo Pasolini, affidandosi, fra molto altro, alle parole di chi ne ha condiviso il breve viaggio, fra questi: Laura Betti, Carlo Lizzani, Ettore Scola, Bernardo Bertolucci, Franco Citti, Dario Bellezza, Marco Pannella, Adele Cambria, Mario Schifano”.

Lei si è già occupato del poeta di Casarsa con il suo libro del 2014 dal titolo Pasolini raccontato a tutti. A distanza di quasi dieci anni ed a cento dalla nascita del corsaro cosa non aveva ancora detto che possiamo ora leggere in questa sua ultima fatica letteraria edita da Baldini+Castoldi dal titolo Quando c’era Pasolini

Per essere precisi con questo sono quattro i libri che ho scritto discorrendo di Pier Paolo e della sua opera, il primo era del 2005 e si intitolava C’era una volta Pasolini. Diciamo che questo è un lavoro ulteriormente ampliato e che in qualche modo li contiene tutti, li comprende, ecco. Certo, sarebbe interessante sapere cosa lui, PPP, direbbe oggi non solo di se stesso ma di quanto stiamo vivendo. Qualcuno qualche anno fa disse che probabilmente sarebbe diventato leghista, altri qualche settimana fa hanno dichiarato che si sarebbe schierato contro il green pass e contro i vaccini ma in definitiva quello che direbbe Pasolini oggi noi non possiamo dirlo, poiché lui è assente. Io ho cercato di restituire il tempo di Pier Paolo Pasolini, che oggi sembra essere un tempo irriferibile, un tempo che potrebbe apparire retorico e di cui ancora si ha la sensazione che l’idea del progresso sia la stessa, anche se Pasolini fa una critica sia dello sviluppo sia del progresso. Ho cercato di restituire quel mondo, che è un mondo di personaggi la cui difficoltà oggi nel cercare di restituirli adesso sembra altrettanto difficile: mi domando come faccio a restituire, perché tutti la capiscano e la apprezzino, la comicità di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia in un film favola come Che cosa sono le nuvole? Oppure come raccontare che l’idea dello scandalo era ancora un valore negli anni in cui Pasolini realizzava film come Il Decameron o Teorema. Quindi c’è un intento sia politico sia didattico in questo mio libro: Pasolini è stato il più coraggioso intellettuale che l’Italia abbia mai avuto nel ‘900. Un autore che ha affrontato anche la propria solitudine, pur avendo l’amicizia della nomenclatura letteraria di sinistra, Moravia per primo. Pasolini non ha mai avuto difficoltà ad avere posizioni dissonanti anche rispetto alla sinistra stessa, oltre al fatto che è stato un grande poeta.

Cosa è per lei Fulvio Abbate quell’atrocità del dubbio che andava predicando PP Pasolini

Il discorso abbastanza complesso e va storicizzato: Pasolini pronuncia quelle parole parlando con dei giovani comunisti al Pincio nel 1974, giovani tra i quali troviamo Veltroni, Bettini ed altri. Veltroni, poi, dice sempre luoghi comuni del resto egli è il campione dei luoghi comuni, poiché ritiene che il compito dell’intellettuale sia quello di lavorare alla costruzione della cultura del consenso, mentre io penso che il compito dell’intellettuale dissidente sia di disseminare il terreno di corpi accidentali a quattro punte per mettere in discussione l’esistente. L’idea di inattualità viene rifiutata, se è vero che si ritiene sempre che tu debba, invece, lavorare alla costruzione del consenso. Per questo e per molti altri mortivi il sottoscritto si è sempre rifiuto di aderire ad ogni forma di conformismo ed è per questo che nel 2005 ho pubblicato un pampleth, che si trova anche in rete, sul conformismo di sinistra a cura di Graffi Editore. Questa mia posizione non è recente, è maturata negli anni, ma quello che vorrei sottolineare è che la gestione delle celebrazioni sul centenario della nascita di PPP sta avvenendo sotto il controllo dell’amichettismo veltroniano, come se Pasolini fosse stato il loro nonno: Pasolini non ha lasciato nipoti questo deve essere chiarissimo. Il vero problema poi e che oggi nessuno legge più Pasolini ne vede il suo cinema e questo avviene perché tutto ciò che lo riguarda dal punto di vista della sua opera, in ultima analisi, viene ricondotto agli interrogativi sul suo omicidio: se sia stato o no un delitto con dei mandanti politici o solo un assassinio maturato nell’ambiente omosessuale o piuttosto, come afferma qualcuno, un auto-martirio e che lui abbia scelto di morire simbolicamente il giorno dei morti in una località chiamata Ostia, a sua volta un nome simbolico. Pasolini è ben più complesso rispetto a questa parte terminale della sua parabola esistenziale ed artistica, proprio perché la sua progressione è ampia e va da un romanzo straordinario come una Vita violenta che nessun legge, alla sua cinematografia che non so quanto sia di fatto conosciuta. Però ridurlo ad una sorta di Caravaggio del ‘900 mi sembra una forma di retorica che santifica e banalizza la sua storia ed il suo spessore.

Lei sostiene e come lei molti altri che il pensiero di PPP appare ancora adesso essenziale per fare luce sul presente odierno. Se lo scrittore potesse tornare da noi cosa direbbe di questa società, di questo mondo che aveva così bene preconizzato

Uno dei mie lavori su Pasolini, un romanzo del 1992, racconta proprio questo: immaginavo il ritorno di PPP in cui teorizzavo che sarebbe rimasto stupito dalle nuove auto e della tecnologia in generale, infatti per prima cosa dovremmo spiegargli praticamente tutto: dai cellulari ai social.

Quale è a suo avviso la vera ed unica eredità lasciatati da PPP?

Il coraggio!

Fulvio Abbate, nasce a Palermo nel 1956. Il suo romanzo d’esordio risale al 1990, Zero Maggio a Palermo, che ricostruisce l’esperienza comunista vissuta da giovanissimo. Fa seguito un’ampia produzione che spazia tra narrativa civile, saggistica, reportage e pamphlet, come nel caso di Sul conformismo di sinistra, testo che segna il distacco dalla sinistra ufficiale; una posizione ribadita in modo ancor più radicale in occasione dell’aggressione russa all’Ucraina con un articolo, Mi vergogno d’essere stato comunista, apparso su Huffpost il 4 marzo 2022. Dopo una formazione di segno neo-avanguardistico, Abbate si concede poi alla narrazione eroicomica, fino a “riscrivere” con La peste bis (Bompiani 1997) il capolavoro di Albert Camus. Lo stesso romanzo vedrà infine un’ulteriore radicale riscrittura ventiquattro anni dopo la sua prima uscita con il titolo La peste nuova (La nave di Teseo, 2020) Si orienta poi verso la narrazione autobiografica in modo sempre più netto, una soluzione letteraria in grado di custodire sia il fantastico sia il reale. Tra i temi narrativi a lui cari, il racconto letterario della città di Palermo, la memoria della Guerra civile spagnola del 1936-1939 vista dalla prospettiva anarchica, la vicenda culturale e politica di Pier Paolo Pasolini, la città di Roma come luogo d’indagine e di scavo antropologico, lo studio delle dinamiche e delle occorrenze sentimentali, affettive e amorose, la riflessione decisamente filosofica sul tema della salvezza e il paradosso della “speranza”. Nel corso degli anni, all’attività letteraria Abbate ha affiancato numerose esperienze in ambito giornalistico. Per il teatro è autore di A las barricadas, tragicommedia commissionatagli dalla Fondazione Orestiadi di Ludovico Corrao, andata in scena a Gibellina nell’agosto del 1999. Ha inoltre scritto e portato in scena Il teatro degli oggetti, monologo presentato per la prima volta nell’ambito del Teatro Festival Parma nel 2004. Collabora attualmente come editorialista con il Corriere dello Sport – Stadio e con Il Riformista e ancora con i quotidiani online Huffington Post e Dagospia. L’11 di gennaio 2022 ha inaugurato, in rete, sul canale Youtube Teledurruti, come risposta alle cosiddette scuole di “scrittura creativa”, l’Avviamento letterario “Carlo Alberto Pasolini dall’Onda”, dedicato al padre di Pier Paolo Pasolini.

Fulvio Abbate
Quando c’era Pasolini
Baldini + Castoldi, 2022

Riesci a vedere i tre elementi nascosti nella foto? Solo chi ha una vista da falco può individuarli

Smaschera le due bugiarde. Riesci a dire quale tra queste donne è veramente in dolce attesa?