C’è una porzione di territorio, in Afghanistan, dove i talebani non sono arrivati. Ed è lì che si sta organizzando la resistenza contro i fondamentalisti che hanno ripreso il potere nel Paese. O, meglio, si sta riorganizzando. Perché il Panjshir – provincia a nord-est di Kabul che – considerata una fortezza naturale per la conformazione del suo territorio – è stata in più occasioni il teatro della resistenza afghana.
È la zona di monti e valli poco più a nord di Kabul, che della resistenza ha fatto un marchio di fabbrica per merito di Ahmad Shah Massoud, combattente nato nel capoluogo Bazarak e passato alla storia come il Leone del Panshir. Ucciso in un attentato il 9 settembre 2001, ad appena due giorni dall’attacco alle Torri Gemelle, Massoud fu a capo dell’Alleanza del Nord che contribuì in maniera fondamentale alla cacciata dell’Armata rossa dal Paese, e combatté contro i talebani nella guerra civile che li vide salire al potere.
Il Panshir però non crollò mai, nemmeno dopo la morte del Leone. Ora la situazione è la stessa e Il Loro capo è Ahmad Massoud, figlio dello storico comandante afghano Ahmad Shah, che aveva nove anni quando insieme al padre sedeva in una grotta con altri mujahideen ad ascoltare un “amico occidentale”, il filosofo francese Bernard Henri Levy che diceva loro “quando combatti per la tua libertà combatti per la nostra libertà”.
Queste parole, impresse nella mente di un bambino mentre il padre combatteva il regime dei Talebani, Ahmad non le ha mai dimenticate ed è pronto a combattere contro un altro “figlio d’arte”.
Come nel faccia a faccia finale del Cacciatore di Aquiloni, bestseller dello scrittore afghano-americano Khaled Hosseini, in Afghanistan sembra profilarsi uno scontro tra rivali, nemici già in gioventù. Nel libro i due sono Amir, il protagonista, e Hassan, il “cattivo” diventato leader dei talebani. Nella realtà sono Ahmed jr e Mohammad Yaqoob, primogenito del Mullah Omar. In un paese dove tutto sembra rimanere sempre uguale, i conflitti si tramandano di generazione in generazione per non finire mai.
Il Mullah Omar uscì vincitore dalla guerra civile con i mujaheddin ed è stato il Capo dell’Emirato Islamicofino al 2001. Da allora, e fino alla morte (avvenuta per tubercolosi nel 2013, ma annunciata solamente nel 2015) ha guidato la resistenza talebana alla Repubblica afghana.
Il figlio Mohammed Yaqoob ha studiato a Karachi e ha proseguito la militanza nel gruppo del padre senza sgomitare. Anzi, la sua indole più “moderata” gli ha spesso attirato l’antipatia dell’ala più oltranzista dei talebani. Col tempo, Yaqoob è diventato il braccio destro di Hibatullah Akhundzada, leader supremo dal 2016, e rispetto al suo superiore ha maggiori capacità politiche e legami profondi con l’Arabia Saudita. In futuro potrebbe prendere il posto del padre alla guida dell’Emirato, ma nel frattempo la sua ampia influenza si esercita soprattutto nelle retrovie.
Oggi per lui, conquistata la quasi totalità dell’Afghanistan, resta solamente una roccaforte da far cadere: quella dell’ex rivale del padre. Ma il “figlio del leone” ruggisce ancora ed ha lanciato un appello alla resistenza contro i talebani attraverso la stampa. Lo ha fatto scrivendo su una rubrica sulla rivista francese La Règle du jeu: «I miei compagni d’armi e io daremo il nostro sangue, insieme a tutti gli afghani liberi che rifiutano la servitù e che invito a unirsi a me nella nostra roccaforte del Panjshir, che è l’ultima regione libera del nostro paese morente». Un appello rivolto ai connazionali «di tutte le regioni e di tutte le tribù».
Massoud ritiene che «siamo nella situazione dell’Europa nel 1940», con Hitler e il nazismo in rapida ascesa e apparentemente incontrollabili. Ma, «nonostante la totale debacle» delle scorse ore, Massoud crede che «non tutto sia perduto».
«Parlo a tutti voi, in Francia, in Europa, in America, nel mondo arabo, altrove, che tanto ci avete aiutato nella nostra lotta per la libertà, contro i sovietici in passato, contro i talebani vent’anni fa. Voi, cari amici della libertà, ci aiutate ancora una volta come in passato? La nostra fiducia in voi, nonostante il tradimento di alcuni, è grande» ha scritto. Una lotta comune diventata essenziale per la sua patria ma per tutto l’occidente con i combattenti per la resistenza pronti ad affrontare ancora una volta i talebani.
Tuttavia le forze militari sono insufficienti e si esauriranno presto se l’Occidente non troverà il modo di supportarli con “quel grande arsenale di democrazia” come diceva Franklin Delano Roosevelt nella seconda guerra mondiale
per il quale Massoud fa appello nuovamente anche agli USA.
Oltre alla resistenza afghana, va ricordato, ci sono milioni di afgani che condividono i valori occidentali e che hanno lottato per tanto tempo per avere una società dove le ragazze potessero diventare medici, dove la stampa potesse essere libera, dove i giovani potessero ballare, ascoltare la musica, assistere alle partite di calcio negli stadi. La democrazia, aborrita dai talebani, forse non si esporta ma sicuramente c’è chi non vi rinuncia e non si rassegna come Massoud, grazie a cui oggi il Panshir è l’unica regione non ancora caduta in mano talebana seppur sia totalmente circondata.
Tutti danno per acquisito il potere talebano ma in Afghanistan c’è chi resiste, ci sono giovani e donne che non si piegano ai talebani e costruiscono la resistenza “nel nome del padre”, quel Ahmad Shah Massud vero e proprio eroe nazionale in Afghanistan, la cui storia potrete meglio apprezzare nel libro di Marcela Grad “Massoud. Un ritratto intimo del leggendario leader afghano”, Psiche editore 2019, la più ricca e completa raccolta di informazioni su un uomo di importanza capitale nel mondo del dopo 11 settembre.