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“Fame d’aria”, è possibile smettere di amare un figlio?

Daniele Mancarelli, vincitore del premio strega giovani nel 2020 per il suo “Tutto chiede salvezza”, è tornato nel settembre 2022 in libreria con un nuovo romanzo. Stavolta lo scrittore tratterà un’altra delle emozioni primordiali dell’uomo. Dopo aver sviscerato la rabbia dovuta ad un senso di incertezza della vita giovanile nel suo primo lavoro, questa volta indaga uno dei sentimenti più intensi, l’amore genitoriale. Lo fa con il suo solito stile tagliente, asciutto e diretto, portandoci mano per mano dentro il sottilissimo solco in cui convivono tragedia e rinascita.

Dopo il suo primo romanzo, da cui è pure stata tratta una serie Netflix, le aspettative erano altissime e, possiamo dirlo, sono state rispettate. Mencarelli ci racconta la vita di Pietro Borzacchi, padre di Jacopo con cui sta facendo un viaggio tra colline di pietra bianca, tornanti e paesini arroccati.

Con “Fame d’aria” scopriamo più da vicini una realtà struggente, in cui molti genitori si ritrovano nell’ignoranza di tutti noi. Jacopo infatti combatte contro una malattia mentale, rendendo la vita di Pietro una continua sfida, in cui niente è più scontato, niente è più normale, infatti “I genitori dei figli sani non sanno niente, non sanno che la normalità è una lotteria, e la malattia di un figlio, tanto più se hai un solo reddito, diventa una maledizione.” .” Ma la povertà non è la cosa peggiore. Pietro lotta ogni giorno contro un nemico che si porta all’altezza del cuore. Il disamore. Per tutto. Un disamore che sfocia spesso in una rabbia nera, cieca. Tuttavia il dolore di Pietro si troverà davanti qualcosa di nuovo, di inaspettato.

Durante il loro viaggio infatti la macchina si fermerà, lasciandoli in mezzo al nulla. Per fortuna padre e figlio incontrano Oliviero, un meccanico alla guida del suo carro attrezzi che accetta di scortarli fino al paese più vicino, Sant’Anna del Sannio. Quando Jacopo scende dall’auto è evidente che qualcosa in lui non va: lo sguardo vuoto, il passo dondolante, la mano sinistra che continua a sfregare la gamba dei pantaloni, avanti e indietro. In attesa che Oliviero ripari l’auto, padre e figlio trovano ospitalità da Agata, proprietaria di un bar che una volta era anche pensione, è proprio in una delle vecchie stanze che si sistemano. Sant’Anna del Sannio, poche centinaia di anime, è un paese bellissimo in cui il tempo sembra essersi fermato, senza futuro apparente, come tanti piccoli centri della provincia italiana. Ad aiutare Agata nel bar c’è Gaia, il cui sorriso è perfetta sintesi del suo nome. Sarà proprio lei, Gaia, a infrangere con la sua spontaneità ogni apparenza. È quindi grazie a Agata, Gaia e Oliviero che Pietro riuscirà a riscoprirsi, a scoprire una nuova visione delle cose, più realista, più buona, grazie ai tre sconosciuti che sono l’umanità che ancora resiste, fatta il più delle volte di un eroismo semplice quanto inconsapevole.

Indovinello… Che sete!

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