Di Giuseppe Romito
È il maggio del 1937 quando Margherita Sarfatti pubblica “L’America, ricerca della felicità”, libro che raccoglie impressioni e riflessioni suscitate dal suo viaggio americano, compiuto tre anni prima nel 1934. Accolta come una regina senza corona, la sua figura eclettica, culturalmente elevata, è rimasta appiattita per molto tempo su Mussolini, considerata per molti la sua alter ego, e per molti altri la sua portavoce, la Sarfatti ha messo in crisi il Duce, preoccupato dalla possibilità di ritrovare rivelazioni scomode nel suo libro.
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In “L’America di Margherita Sarfatti” di Gianni Scipione Rossi (Rubbettino Editore) è chiaro il tentativo di restituire dignità ad una donna intellettuale, affascinata dal carisma del leader italiano, tanto da considerarlo il suo pubblico attento. Spiegare Mussolini è imbarazzante, ma le è sicuramente arduo parlare di fascismo, negli Usa, dove la parola corporativismo è sentita vicina alle corporazioni industriali statunitensi. Per Margherita la scoperta dell’America non è solo dal punto di vista letterario, ma è necessariamente realismo, è il toccare con mano, andare oltre gli stereotipi. Ecco dunque che per lei, l’America è una ramificazione della civiltà bianca che tende all’inclusività, come a suo tempo Roma, prima pagana e poi cristiana. Con tutta la loro complessità, gli Usa sono estensione della civiltà romana, lo sono come popolo e come nazione, forse perché questo paese costruisce il suo essere attraverso un perpetuo divenire. Ecco quindi che nel 1937, mentre l’Europa è nel pieno dell’odio, per la Sarfatti, l’America ha i suoi motivi per essere amata, come fosse appunto una donna, va dapprima compresa, con tutte le sue sfumature e le contradizioni.
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Non mancano, però, critiche della Sarfatti alle politiche di Roosevelt, specie in ambito economico. Margherita non vede di buon occhio la svalutazione e l’abbattimento del carico fiscale, ritenute poco sufficienti, consiglierebbe invece, di conciliare ruralismo e industrialismo come in Italia. La peggiore colpa del New Deal è quella di aver anteposto “il carro dell’economia ai buoi della politica elezionista”.
Per la Sarfatti, l’America è il paese di Dio, il luogo dove ricercare la felicità. Il posto dove è facile subire la fascinazione dello skyline, contemplando le grandi città, dalla campagna. Subisce la fascinazione della diffusione dei grandi magazzini, antenati della italiana Upim, dilatati a dismisura. Il fascino della tecnica che raggiunge livelli inaspettati. “Tutto è veloce in America, tutto è grande, anche il mare. L’Atlantico attraversato con il Rex, e il Pacifico nella sua grandiosità”. Poi in Europa cambia il vento, arrivano le leggi raziali e il suo libro viene ritirato dal mercato. Passata l’epoca totalitaria, Margherita Sarfatti, che aveva scelto l’America come esilio, rientra in Italia, e nel 1961 a qualche mese dalla morte, incontra Renzo De Felice, a cui confessa, che nel bene e nel male Mussolini ha segnato indelebilmente la sua vita. Quella sera dell’incontro, avvicinandosi alla finestra della sua casa, indica con il braccio a De Felice, una stella, e sibila “Lucifero..” Chiama così la stella del destino che determina la fine delle azioni e degli uomini. Di Mussolini, ma anche di se stessa.
Gianni Scipione Rossi, giornalista, è vice presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice. E’ membro del Comitato Direttivo dell’Istituto Abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea. Per anni ha diretto l’informazione parlamentare in Rai e la scuola di giornalismo di Perugia.
L’America di Margherita Sarfatti. L’ultima illusione
Gianni Scipione Rossi
Rubbettino Edizioni