Che cosa spinge uno stimato avvocato socialista a mettere a repentaglio, a pochi mesi dalla fine del secondo conflitto mondiale, la propria carriera per sottrarre un latitante fascista alla giustizia? Lo lascia scoprire, in un avvincente crescendo di emozioni pagina dopo pagina, il giornalista Virman Cusenza nel suo “Giocatori d’azzardo. Storia di Enzo Paroli, l’antifascista che salvò il giornalista di Mussolini”(Mondadori), da pochi giorni in libreria.
Cusenza, ex direttore de Il Messaggero, riprende il lascito di Leonardo Sciascia e, con un lavoro storiografico certosino, scrive “la storia appassionata e misteriosa un avvocato antifascista – diceva proprio Sciascia – che dopo la Liberazione ospita, in casa sua a Brescia, a rischio della propria vita, Telesio Interlandi, il teorico della razza”. Cusenza recupera le carte di Sciascia e su quelle costruisce una trama che è uno spaccato della storia del nostro paese negli anni del conflitto mondiale e nelle memorie divise che hanno segnato il lungo dopoguerra. Il lavoro di recupero dei documenti è imponente: l’autore li scova nell’Archivio di Stato di Roma, all’Archivio Centrale dello Stato, tra lettere private, reminiscenze di figli e nipoti e vecchie fotografie ritrovate.
La trama Brescia, novembre 1945. L’avvocato Enzo Paroli, socialista e antifascista, incontra nell’affollato carcere di Canton Mombello il detenuto Telesio Interlandi, accusato di “collaborazionismo” con l’invasore nazista.
Interlandi non è un giornalista qualunque: per l’intero Ventennio è stato il ventriloquo di Mussolini. E lo ha seguito anche a Salò. Stanco, provato, è terrorizzato all’idea di affrontare in un’aula di tribunale la responsabilità di essere stato uno dei simboli del regime: è stato, infatti, il direttore del quotidiano oltranzista “Il Tevere” e della “Difesa della razza”, la rivista fondata nel 1938 allo scopo di condurre la campagna antisemita e spianare la strada alle leggi razziali. Paroli è incerto, consapevole del rischio e dell’azzardo che comporta assumere la difesa di un fascista nient’affatto pentito, di un giornalista che sul razzismo ha costruito la propria fortuna non soltanto economica, di un intellettuale “scomodo”, spesso inviso ai gerarchi del partito ma sempre protetto e generosamente finanziato da Mussolini. Eppure, alla fine, Paroli accetta la missione. Anzi, approfittando dell’inspiegabile quanto rocambolesca scarcerazione del prigioniero, decide di nasconderlo insieme alla sua famiglia nella propria abitazione per oltre otto mesi, fino all’archiviazione del caso. Che cosa vede in quell’uomo braccato dalle sue stesse colpe? Uno sconfitto, certo, un vinto che si è ritrovato dalla parte sbagliata della storia, ma che proprio per questo merita di essere difeso, e magari salvato dalle raffiche di mitra di qualche improvvisato giustiziere. Ispirato da un sentimento di pietas, il gesto di Paroli è un atto di umanità, di solidarietà che scardina le linee divisorie, le cortine di ferro e i muri, anche se nulla ha a che fare con il perdono. Ancora oggi, in un Paese che non ha fatto fino in fondo i conti con la propria storia, la figura di questo avvocato merita di essere sottratta all’oblio.
Virman Cusenza
Giocatori d’azzardo. Storia di Enzo Paroli, l’antifascista che salvò il giornalista d Mussolini
Mondadori, 2022