New York, 1928: quando per una donna sola era ritenuto sconveniente affittare un appartamento, apre il Barbizon, un hotel per sole donne destinato a scrivere una pagina mitica della storia dell’emancipazione femminile.
Nelle sue stanze hanno soggiornato, giovanissime, Rita Hayworth, Grace Kelly, Lauren Bacall, Sylvia Plath, Joan Crowford, Liza Minnelli, Nancy Reagan, Nora Ephron. È stato il posto «dove andavano le ragazze per dare una possibilità ai loro sogni», ha scritto la storica americana Paulina Bren nel suo recente libro “Barbizon Hotel: storia di un hotel per sole donne”.
Era la sistemazione più appropriata per una donna sola, di buona famiglia, in cerca di un’opportunità professionale nella moda come nell’arte, nel cinema come nella letteratura o in politica. Per intraprendere le loro carriere, molte donne dovevano necessariamente trasferirsi in città e trovare una sistemazione appropriata e sicura.
Per essere accolta nel Barbizon una donna doveva esibire tre lettere di raccomandazione di persone che ne garantissero la specchiata moralità.
Il Barbizon era noto per avere un codice di condotta rigoroso, che metteva al riparo le sue ospiti da pettegolezzi e scandali. Le famiglie potevano chiedere che le ospiti firmassero un registro ogni volta che entravano ed uscivano per tracciare i loro spostamenti. Nessun uomo era ammesso nell’albergo, se non nella lobby al primo piano. C’era un rigoroso dress code: se le gonne non erano longuette, o se qualcuna osava indossare i pantaloni, le ragazze venivano rispedite in stanza a cambiarsi.
Con le sue 700 stanze il Barbizon raggiunse l’apice della sua fama, almeno sui rotocalchi, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, quando l’agenzia Ford Models cominciò ad affittare stanze per le sue modelle, tra cui la mitica Carmen dell’Orefice. A smitizzare il luogo è stata la penna graffiante di Sylvia Plath, poetessa e scrittrice che vi soggiornò per alcuni periodi. Nel suo romanzo semi-autobiobiografico “La campana di vetro” descrive le ospiti del Barbizon come «segretarie di dirigenti, che si aggirano per New York nell’attesa di sposare un uomo d’affari. Queste ragazze mi annoiavano terribilmente. Le vedevo sbadigliare e laccarsi le unghie nel solarium, cercando di mantenere l’abbronzatura delle Bermuda». Perfetto simbolo dell’emancipazione femminile, il periodo d’oro del Barbizon viene rievocato dall’autrice, abile nel tratteggiare, grazie a fascinose foto in bianco e nero, un’epoca che finì nel 1981 quando il primo ospite uomo varcò la soglia dell’edificio dell’Upper East Side.
Il Barbizon per gran parte del Novecento era stato un luogo in cui le donne si erano sentite al sicuro dai lupi (gli uomini che battevano le strade di New York in cerca di ragazze giovani e ingenue), dove avevano avuto una stanza tutta per loro per organizzare e progettare il loro futuro. L’hotel diede loro una cosa straordinaria: la libertà. Ne liberò l’ambizione, i desideri che altrove erano considerati proibiti, ma che nella Grande Mela erano immaginabili, realizzabili, possibili.
“La Donna Nuova è nata nell’ultimo decennio del Diciannovesimo secolo. Era una donna desiderosa di essere qualcosa di più di una figlia, una moglie, una madre. Voleva spingersi fuori dalle quattro mura di casa per esplorare il mondo; voleva l’indipendenza; voleva liberarsi da tutto ciò che la opprimeva. La si vedeva pedalare per la strada in mutandoni e maniche di camicia svolazzanti, diretta da qualche parte”.
Paulina Bren
Barbizon Hotel. Storia di un hotel per sole donne
Neri Pozza, 2021