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Rivivere il campione: “Il mio Kobe. L’amico diventato leggenda”

“Con questo libro vorrei ringraziare tutti voi amici, tifosi e amanti dello sport per la vicinanza che mi avete dimostrato il 26 gennaio 2020 e nelle settimane a seguire: grazie a voi – alle conversazioni faccia a faccia, ma anche alle telefonate o ai semplici messaggi – mi sono sentito meno solo”.

A due anni dalla tragica scomparsa del campione del basket mondiale Kobe Bryant, esce per Baldini e Castoldi “Il mio Kobe. L’amico diventato leggenda”, il libro scritto da Christopher Goldman Ward, 45 anni, varesino, tra gli amici più cari del Mamba nero. Figlio di un americano e di un’italiana, Christopher è cresciuto a Reggio Emilia negli stesse anni in cui vi riesedeva Kobe, con cui a 11 anni strinse un’amicizia durata tutta la vita. E sopravvissuta alla morte del campione americano. Proprio di questo legame tratta il suo libro, che racconta il Kobe bambino, il Kobe più intimo: pagine sul lato più umano di un campione, troppo spesso innalzato a “intoccabile”, dall’arrivo di Kobe a Reggio Emilia grazie all’ingaggio di suo padre nella Pallacanestro Reggiana, all’ingresso nella squadra giovanile, alla rivalità sportiva con lo stesso Ward, agli incontri da adulti con guardie del corpo al seguito e limousine, fino al vederlo allo Staples Center di Los Angeles, in mezzo a 20mila persone che cantano il suo nome, durante la sua ultima stagione da giocatore.

“Prima di essere un campione osannato in tutto il mondo, Kobe era un bambino come siamo stati tutti noi. C’è un momento in cui siamo tutti alla pari, allo stesso punto di partenza. C’è un momento nella nostra vita in cui ognuno di noi è Kobe” scrive l’autore a due anni da quel giorno tragico. “Ero in casa quel 26 gennaio 2020, in cucina, a cena con la mia famiglia – ricorda Goldman Ward -. Era una serata normale. Ricordo tutto molto nitidamente, odori, colori e stati d’animo, fino a quel momento, alle 20.25, quando il mio telefono cominciò a impazzire di messaggi in entrata”. Messaggi che cercano conferma sulla fine di Kobe, messaggi soprattutto di dolore, vicinanza e cordoglio da parte di chi sapeva quanto il Mamba nero fosse importante nella vita di Christopher.

“Nel frastuono e nello stordimento di quei giorni assurdi, ricordo che l’unico balsamo per la mia anima era il riconoscimento dell’amore che il mondo provava (e prova) per Kobe – aggiunge -. Per il mio amico. Le esternazioni pubbliche e private dimostravano una grande reazione comune di profonda tristezza e incredulità. Uno dei segreti della longevità della nostra amicizia sta proprio nel fatto stesso che non ci vedessimo o sentissimo regolarmente. Chi ha conosciuto Kobe lo sa: era un tipo particolare, fatto a modo suo. Si dice che non avesse amici e in un certo senso è vero: sono convinto che Kobe Bryant, il Black Mamba, non ne avesse. Kobe il reggiano, invece, ne aveva eccome. Ne aveva una, due, forse tre città piene. Era un’amicizia nata da bambini, quella fra Kobe e me, e che poi ha resistito superando gli anni e la distanza – scrive l’autore -. Il ricordo non si ferma, ritorna forte, è un’emozione che diventa quasi piacevole. D’ora in poi esisterà, per me e per molti, una vita pre-Kobe e una vita post-Kobe”.

Christopher Goldman Ward
Il mio Kobe. L’amico diventato leggenda
Baldini + Castoldi, 2021

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