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“Il tempo di tornare a casa”: un viaggio spaesante verso ciò che si conosce

Il tempo di tornare a casa, il treno della vita

Di Silvia Argento

Il tempo di tornare a casa di Matteo Bussola, uscito per Einaudi a novembre 2021 è un insieme di storie semplici ma interessanti. L’autore nasce narrativamente come fumettista, sogno che ha deciso di inseguire a 35 anni dopo essere stato un progettista edile. Scrive narrativa dal 2016 e Il tempo di tornare a casa è il suo quinto romanzo. Il suo ultimo lavoro instrada il lettore su percorsi alternativi alla semplice esperienza di lettura e lo colloca nella frammentarietà della vita, per la quale è imprescindibile conoscere storie.

Leggere è tante cose. Può essere un momento di distrazione, un’occasione di svago, un mero sfoggio di intellettualità che ci consente di rappresentare un personaggio che ci piace. Quello che legge, con un tono, un’élite, un’appartenenza. Tuttavia, leggere è soprattutto un viaggio. Come un camminare lungo e eterno attorno alle parole, svolto da milioni di autori nella ricerca di conversazioni, per usare un termine caro a Elio Vittorini, il viaggio della lettura trasporta altrove ma anche dentro noi stessi. Il tempo di tornare a casa è un viaggio frammentato e spaesante verso ciò che si conosce viaggiando.

La stazione è il fil rouge che regge tutta la storia: è da un treno che si inizia anche se non letteralmente e il viaggio è un topis pregnante in quello che non è definibile romanzo, ma quasi un ibrido tra una raccolta di racconti e una serie di aneddoti che potremmo sentire da un amico al bar. Sono storie di persone, di parole, di sensazioni. All’interno delle quali il treno è una metafora che già forse un lettore ha sentito tante volte, ma si lega prepotentemente al modo di vivere e al concetto di attesa. Bruce Chatwin, grande scrittore di letteratura da viaggio e viaggiatore anche lui, afferma che gli aeroporti sono i posti dove le persone danno il meglio di loro (questa poetica viene ripresa da un film italiano di Luca Lucini del 2005, “L’uomo perfetto”).  Aeroporti e stazioni sono luoghi irripetibili di incontri, nostalgie e soprattutto attese. Ad aspettare gli esseri umani spendono la maggior parte della loro vita.

“Ci sono persone che passano la maggior parte della vita ad aspettare.

Aspettano l’amore giusto, il momento adatto, il mantenimento di una promessa, la conclusione di una sofferenza, la rimarginazione di una ferita. Attendono che qualcuno finalmente le veda.

Poi un giorno, senza preavviso, si alzano in piedi tra la folla e decidono che è ora.”

Così, in questa struttura volutamente spaesante e frammentaria, Matteo Bussola coinvolge chi legge in un’attesa eterna di qualcosa. I personaggi sono smarriti, ma caratterizzati con descrizioni semplici e accattivanti. I capitoli sono brevi, la lettura è scorrevole, tanto da essere adeguatissima a un momento di alienazione in attesa proprio di un treno. Per tutto il tempo, ingannati dai soliti meccanismi narrativi assai complessi, il lettore è tentato di scovare qualcosa di più. Alla fine tutti i personaggi che leggo saranno ricollegati? C’è un colpo di scena?

La risposta non va svelata per non rovinare la lettura, ma bisogna anche essere consapevoli che tale ricerca di complessità a tutti i costi non è sana per il viaggio. La stazione mostra la semplicità, la bellezza di vite che sono tutte diverse ma connesse dal fatto di diventare storie.

“E dunque, a cosa servono le storie?

[…]

Io credo che le storie servono a scaldarci quando il vento è troppo freddo, a farci sentire meno soli, a sapere che tutti, a prescindere dal treno, condividiamo lo stesso viaggio. Servono a permetterci di incrociare sguardi diversi dal nostro.

[…]

A dare un senso alle nostre attese. A farci capire che c’è sempre un treno da prendere, nonostante tutto.

A farci sentire che siamo ancora in tempo.”

Il vero senso del viaggio è il viaggio stesso, non arrivare con il treno a destinazione ma quella stazione. Non giungere ad un risultato ben preciso e definito, ma raccontare storie che mostrano quanto abbiamo bisogno degli altri. Per diventare persone e non quei vuoti personaggi che leggono per ostentare, ma che leggono la vita viaggiando e vivendola. Con tutte le brutture, le ferite, le complicazioni che implica avere gli altri attorno, ma senza gli altri non esiste la nostra storia.

Matteo Bussola
Il tempo di tornare a casa
Einaudi, 2021

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