Edito da Bompiani nel 1957, la genesi del “La ciociara” di Alberto Moravia, un classico della letteratura italiana contemporanea, è assai più lunga, perché lo scrittore inizia a lavorare al romanzo già nel 1944, ancora immerso nell’orrore della guerra. Ed è proprio l’intento neorealista di descrivere quei tragici giorni che lo porta a tratteggiare il dramma di Cesira e Rosetta, intriso però anche di una forte carica esistenziale.
Il romanzo, che ispirò poi nel 1960 l’omonimo film di Vittorio De Sica che valse l’Oscar a Sofia Loren, narra la storia delle avventure e disavventure di due donne, Cesira e Rosetta, madre e figlia, costrette a passare un anno vicino al fronte del Garigliano tra il 1943 e il 1944. Ma è anche e soprattutto la descrizione di due atti di violenza, l’uno collettivo e l’altro individuale: la guerra e lo stupro che la donna e la ragazzina subiscono da parte dei groumier, i soldati nordafricani dell’esercito francese.
Dopo la guerra e dopo lo stupro né un paese né una donna sono più quello che erano. È avvenuto un cambiamento profondo, che si manifesterà più tardi in modi imprevisti e incalcolabili; un passaggio si è verificato da uno stato di innocenza a un altro di nuova e amara consapevolezza. D’altra parte tutte le guerre che penetrano profondamente nel territorio di un paese e colpiscono le popolazioni civili sono stupri; più di tutte quella che, per la prima volta nei tempi moderni, rastrellò l’Italia intera, dal Sud al Nord, portando nelle località più isolate e ignare le armi e l’arbitrio delle popolazioni straniere.
La ciociara non è un libro di guerra; è un romanzo in cui la guerra è vista con gli occhi di chi la soffrì senza combatterla: i civili, con le loro speranze, avventure e delusioni, che in un primo momento si illusero forse di restarne fuori e poi ebbero a soffrirne le peggiori conseguenze. È una storia che narra l’esperienza umana di quella violenza profanatoria che è la guerra.