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“Quel tipo di donna”, perdersi per gustare il momento in cui ci si ritroverà

Di Béatrice Sciarrillo

A Napoli si chiama arteteca.

Infatti, se qualcuno ti vedesse, dentro le mura della città partenopea, fremere e scalpitare in una condizione di insofferente agitazione e di forte irrequietezza, ti domanderebbe, nel suo dolce dialetto musicale: “Ma cherè, tien l’arteteca?”.

“Sì” risponderebbero, simultaneamente e subitaneamente, le quattro donne, protagoniste del romanzo di Valeria Parrella, edito da HarperCollins Italia, Quel tipo di donna.

Lo stesso – fatidico – “sì” pronunciato da queste donne di fronte a un ufficiale comunale, nel momento in cui, sature di sentirsi domandare quanto sarebbe durato il loro amore, decisero di metterlo su carta.

Dolores, Camilla, Carola e l’io narrante, di cui non conosciamo il nome, tengono l’arteteca. Difatti, durante la loro breve ma ricca esistenza, non hanno – e non hanno avuto – il tempo di stendere una tovaglietta sotto il piatto, la pazienza di continuare a vivere negli stessi quartieri in cui sono nate, la voglia di affrontare le scelte più difficili, sebbene poi, in fondo, abbiano finito per scegliere sempre le cose più difficili.

Come Dolores – rimasta orfana di una figlia morta di cancro le cui ceneri sono, sacramente, conservate all’interno di un’urna in una casa sgaruppata, collocata in un quartiere popolare pieno di camorra – o Carola, la “fricchettona”, che vive in una casa dai soffitti alti e senza porte e la cui positività e forza d’animo si riscontrano, proprio, nella scelta di abitare in una casa senza parapetti sui terrazzi e con una nidiata di figli al proprio seguito.

In queste abitazioni, le madri tagliano i capelli alle proprie figlie, e il taglio di capelli, operato da mani materni, non dev’essere inteso come una forma di eccessivo – e patologico – accudimento materno (come quelle madri che pettinano ossessivamente le figlie quasi che fossero bambolotti parlanti), ma è una decisiva presa di posizione nei confronti della pratica borghese dell’andare dal parrucchiere. Perché queste quattro donne, divenute sorelle nei centri sociali, tra dolori e risate, tutto vogliono essere meno che borghesi.

E dove vanno quattro donne non borghesi in vacanza? Ma, soprattutto, sono veramente solo quattro persone a preparare le valigie e partire per la Turchia?

In realtà, questo viaggio non è, esclusivamente, il pellegrinaggio di quattro donne, ma di un’intera comunità di donne – un gineceo – che comincia dalle madri e dalle madri delle madri. Quelle nonne, dallo spirito stravagante e progressista, che, costrette a trascorrere la propria esistenza nei paesini chiusi e patriarcali del sud Italia, hanno avuto il merito di far comprendere alla comunità di uomini – patresfamilias – che pensare alle proprie figlie, secondo la quantità di pentole che avrebbero dovuto acquistare per il loro corredo, era un modo antiquato e deprecabile di considerare l’essere donna.

Perché essere donna significa fidanzarsi per paura della solitudine incombente, distrarsi dietro al pensiero di un uomo, amico di amici, con cui si è trascorsa una notte, ma significa anche insegnare che cos’è la depilazione alle generazioni di figlie e nipoti, divorziare in un periodo in cui non c’era ancora la legge sul divorzio, leggere l’Unità e a fianco di questa chiedere di essere sepolta.

Essere donna significa leggere un libro di Margaret Atwood, indossando un chador sotto il sole cocente dell’estate.

E significa anche accettare di perdersi per gustare il momento in cui ci si ritroverà; capire che è più importante proteggersi piuttosto che sfidare le proprie debolezze, prendendo, ad esempio di vita, la perseveranza della tartaruga: la sua lentezza che si trasforma in tenace fermezza e stabilità d’animo.

E queste quattro donne prendono consapevolezza di tutto ciò durante un viaggio che non si svolge tanto sulla superficie esterna della Terra, ma nel suo sostrato sotterraneo, all’interno dei suoi cunicoli nascosti e profondi. Napoli, Istanbul o New York: non importa dove si svolge il viaggio, ma la cosa essenziale è che si parta con la consapevolezza del luogo da cui si è partiti e del luogo in cui si farà ritorno.

Valeria Parrella,
Quel tipo di donna
HarperCollins, 2020

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