Di Béatrice Sciarrillo.
“Nessun libro che parla di un libro dice di più del libro in questione”: così scriveva Italo Calvino in Perché Leggere i classici.
In Fuori di testo – edito da Ponte alle Grazie – la giovane e simpatica Valentina Notarberardino guida il lettore in un interessante e avventuroso viaggio attraverso il mondo dell’editoria, che si rivela essere più concreto di quanto sembri.
Nel testo, ricco di curiosi e divertenti aneddoti letterari, l’autrice laziale dedica la giusta attenzione a tutti quegli elementi che sono estranei al testo vero e proprio e che Gérard Genette – autorevole critico letterario e saggista francese – riunì nella definizione di “paratesto”. Copertine, titoli, fascette, dediche …
Abbiamo incontrato Valentina Notarberardino, che oggi vive a Roma dove lavora responsabile dell’ufficio stampa e comunicazione della casa editrice Contrasto, leader nella realizzazione di libri fotografici in Italia.
Come nasce Fuori di testo? Da dove è venuta l’idea di scrivere un’opera del genere?
Sono sempre stata molto attratta dalle copertine, perché spesso mi è capitato di comprare un libro solo per la sua “faccia” per poi chiedermi cosa mi avesse realmente colpito. Studio i margini dei libri sin dai tempi dell’Università con la mia tesi di laurea. Poi ho continuato a raccontare questo universo, ancora alquanto inesplorato, grazie a una rubrica mensile che ho tenuto per due anni su Leggere:tutti. Da lì a Fuori di testo il passo è stato breve.
Nel libro, troviamo confessioni inedite di alcuni fra gli scrittori maggiori e più venduti del nostro Paese: da Edoardo Albinati a Diego De Silva, da Massimo Gramellini a Nicola Lagioia, da Melania G. Mazzucco a Roberto Saviano.
Cosa ti ha spinto a rivolgerti direttamente a figure autoriali e quanta disponibilità hai trovato?
Facendo ricerche e scrivendo, a un certo punto mi sono accorta che, al di là di tutte le descrizioni e le ipotesi che io avrei potuto proporre al lettore, ciò che veramente mancava era la voce degli autori su questi temi. Scelta delle copertine e dei titoli, fascette, e molto altro, sono temi che di solito si affrontano privatamente tra amici prima che il libro vada in stampa. Così, intervistando venti autorevoli voci della nostro panorama culturale, mi sono accorta che di fatto è come se li avessi invitati tutti virtualmente a cena a casa mia facendoli confrontare sullo stesso tema. Sono stati molto disponibili e mi hanno raccontato aneddoti davvero interessanti e perlopiù inediti.
Quanto è stato divertente indagare sui “margini libreschi”?
Moltissimo, ho scoperto e ho potuto raccontare molte episodi davvero simpatici, qualcosa che non ci si aspetta se si immagina la creazione del libro solo come atto “sacro”.
Il tuo libro ha diverse anime: descrittiva, teorica e aneddotica. Qual è l’aneddoto a te più caro tra tutti quelli che hai riportato nel testo?
Ce ne sono molti, ma per non far torto ai viventi sceglierò quello con cui ho deciso di aprirlo. Scoprire che Franz Kafka non voleva che si disegnasse l’”insetto” sulla cover della prima edizione di Le Metamorfosi è stato davvero illuminante per il mio discorso sulle copertine: evidentemente voleva tutelare uno spazio di immaginazione per il lettore. Presentare il romanzo ma senza dare troppi indizi sul contenuto, qualcosa di molto raro nell’editoria contemporanea.
La copertina è, secondo Gérard Genette, la prima soglia del libro, la porta di ingresso che apre alla lettura. Chi si occupa della copertina – grafico, art director, iconografo – ha il compito di trasformare in suggestione visiva gli stimoli narrativi. Chi ha scelto, e chi ha disegnato, la copertina del tuo libro?
La mia è stata disegnata da Maurizio Ceccato, bravissimo designer che per due anni di seguito (2019-2020) ha vinto il concorso Buona la prima! – diretto da Stefano Salis – per aver realizzato la miglior copertina italiana. Naturalmente l’idea che c’è alla base, quella di mostrare una sorta di dietro le quinte della copertina, un bozzetto, è un qualcosa a cui siamo arrivati insieme dopo molte riflessioni insieme a Vincenzo Ostuni, responsabile editoriale di Ponte alle Grazie, la casa editrice che ha pubblicato Fuori di testo. Il resto è tutto frutto della fantasia e della competenza di Ceccato. Ci sono state alcune prove intermedie ma alla fine non nessun dubbio sul fatto che questa fosse LA copertina.
“Don’t judge a book by its cover” dicevano gli inglesi. Ma quanto può incidere, invece, oggi, una copertina attraente sulla scelta di chi acquista un libro invece che un altro?
Io credo che il ruolo della copertina sia fondamentale al momento della scelta dei volumi in libreria. L’elemento visuale prevale nell’attrarre l’occhio del lettore. Chiaramente una volta preso il libro in mano prevalgono molti altri elementi (l’autore, il titolo, il testo del risvolto più o meno accattivante, ad esempio) ma credo che sua maestà resti sempre la copertina.
“Con un buon titolo hai fatto il cinquanta per cento”. Parole di Guido Catalano, che possono riferirsi contestualmente al mondo dell’editoria ma anche a quello della musica. Da dove viene invece il titolo “Fuori di testo”?
Il gioco di parole “fuori di testo” mi è stato suggerito da uno degli scrittori che ho intervistato. Io non avevo le idee molto chiare sul titolo, pensavo che dovesse essere molto “esibito”, essendo uno degli elementi di cui parlo nel mio libro. Ma non ne trovavo nessuno che mi soddisfacesse: pensavo a titoli come “libro”, “questo è un libro”, “questo è il titolo”, ma una scelta orientata in questo senso avrebbe omesso di indicare sia il vero tema della mia ricerca sia il tono, ironico e leggero. Fuori di testo era perfetto perché spiegava bene al contempo il posizionamento degli elementi di cui parlo, che sono fuori dal testo, appunto, e anche il tono e l’impostazione narrativa.
Valentina Notarberardino
Fuori di testo.
Ponte alle Grazie