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“Salvare la città in fiamme”, un grande viaggio d’autore nella crisi italiana

C’è l’ossimoro dell’insostenibile leggerezza e quello dell’assordante silenzio, figure retoriche stra-abusate nel linguaggio presunto colto degli ultimi decenni. Poi c’è l’analisi lucida e fuor di retorica che un intellettuale contemporaneo come Antonio Scurati va a ricercare nei suoi scritti recenti, per lo più affidati alle pagine dei quotidiani, per analizzare il perché di tanta irresponsabilità politica. E per accendere un’indispensabile luce in fondo al tunnel della pandemia. Con tutto quello che il virus ci ha rovesciato addosso in questi mesi di buio.

«È questo il modo in cui finisce il mondo. Non con uno schianto ma con un lamento»: la riflessione e l’analisi di Scurati individuano una “parabola ascendente”, disegnata e contrassegnata da un’autocritica generazionale. Ovvero, per l’assenza o quasi di investimenti sui giovani. Mancanza che sta a significare un cammino con poche speranze per il futuro. La raccolta “La fuga di Enea. Salvare la città in fiamme”, in libreria per Solferino dal 2 settembre, è un “grande viaggio d’autore nella crisi italiana che la pandemia ha trasformato in dramma”. Si tratta di leggere (o rileggere) articoli e commenti che l’autore ha affidato negli ultimi 10 anni alle pagine de La Stampa e del Corriere della Sera. Riflessioni che Scurati riferisce di aver scritto senza un unico filo conduttore, ma che – rimesse insieme a distanza di tempo – contengono una visione.

«Se all’inizio dell’arco (ecco la parabola ascendente, nda) il tono prevalente è quello aspro, accorato e sconfortato della critica sociale militante, alla sua fine questi scritti salgono di quota verso un tono sempre accorato ma, paradossalmente, più speranzoso, più aperto non tanto alla possibilità del cambiamento quanto alla sua necessità». Lucida follia (e dai a ossimori…) o piuttosto solida realtà? Sicuramente la seconda. Per Scurati – Premio Strega 2019 con “M. il figlio del secolo” (Bompiani), il futuro dei giovani ricade sulle spalle di una generazione di adulti, come quella dell’autore, che sembra capace di vivere solo nel presente. Il calo delle nascite è drammaticamente davanti ai nostri occhi, eppure visto da pochi.

Antonio Scurati

«L’Italia fa sempre meno figli. In vent’anni – ricorda lo scrittore – c’è stato un decremento del 20 per cento. Il saldo demografico è, di anno in anno, sempre più negativo. Se dipendesse da noi italiani odierni, il futuro della specie sarebbe l’estinzione».

Un duro monito, per dirla con le parole dei cronisti del Quirinale. Una lettura del mondo intono a noi, quella concentrata sui temi sollevati da Scurati, che potrebbe finire per sovvertire molte nostre convinzioni-convenzioni. Tipo quella che in Italia la denatalità sia legata all’occupazione femminile. Ma i Paesi in cui si fanno più figli, oltre a veder garantita una migliore offerta di sostegni sociali, presentano una percentuale più alta di donne che lavorano.

È il riconoscimento in un senso di comunità – qualcuno direbbe nazione? – che aiuta, anzi è necessario per superare montagne altrimenti invalicabili in solitudine. E ancora: lo scorso 8 maggio l’autore firmava sul Corriere: «Una prova terribile come quella del Covid non può che schiantarci, se è vissuta da ciascuno di noi individualmente come privato cittadino. Ma può trasformarsi in una fatica ritemprante se da essa rinasce una dimensione politica. Di là delle cabale su indici di contagio e zizzanie attorno al coprifuoco, l’unica strada di uscita da questa crisi epocale mi pare quella che conduce a una nuova stagione di impegno civile e di lotta politica. Nessun individuo, lasciato a sé stesso, ha uno straccio di possibilità contro una pandemia». Anche nel presente buio e tempestoso – nel quale gli effetti del cambiamento climatico stanno già stravolgendo l’esistenza di milioni di persone – Scurati intravede luce e speranza, una traccia di risalita che parte dal mito: la fuga di Enea da Troia in fiamme con i suoi cari, col padre sulle spalle e il figlio Ascanio per mano, per approdare alla fine nel Lazio. Ecco, dagli insegnamenti del passato (come dai giornali “che si chiamano così perché durano un giorno”, ricorda Scurati riportando alla sua memoria un saggio consiglio sull’utilità della scrittura) è possibile trovare una redenzione. A patto che, sembra ribadire l’intellettuale – figura retorica anche per una certa politica non più vincente – si metta mano al rinnovamento etico e all’impegno sociale. Con la speranza sempre lì davanti a indicare il cammino.

Antonio Scurati
La fuga di Enea, salvare la città in fiamme
Solferino

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