in

“Prima di noi”, un viaggio italiano tra grande storia e piccola provincia

di Ida De Michelis

Prima di noi (Sellerio), di Giorgio Fontana, è un romanzo che vuole raccontare chi siamo noi italiani, facendoci ricordare da dove veniamo per risvegliare la voglia di riflettere sulle strade che abbiamo davanti. La narrazione ha il respiro dell’epopea borghese di tradizione ottocentesca: partendo da una profonda conoscenza del nostro passato, anche letterario, l’autore sceglie di fare della Storia tema e filtro delle vicende della famiglia protagonista, adottando una prospettiva nazionale a partire da una specificità regionale e locale tutta periferica come quella friulana.

Generazione dopo generazione e individuo dopo individuo, i Sartori occupano a turno tutti un ruolo focale nei vari decenni che attraversano, ma forse solo la figura di Nadia, la capostipite, assume statura intellettuale e psicologica tale da renderla vera protagonista, riscoprendo al femminile il significato etimologico del termine, ossia quello agonistico di “prima lottatrice”. È lei, infatti, a ingaggiare un corpo a corpo consapevole e drammatico, che riesce però ad essere perfino lieve e poetico, con il male di vivere che sembra invece schiacciare in modo più cieco e passivo i personaggi maschili che la circondano.

Al racconto del periodo tra le due guerre mondiali viene dedicato uno spazio preminente, riconoscendovi implicitamente le origini indiscusse della nostra identità: quel “prima” che ci ha portati a essere il noi che siamo. E così anche i primi due personaggi, Maurizio e Nadia, sono gli Adamo ed Eva di quel noi che tende ad abbracciare in un percorso identitario anche il lettore.

Restituendo un secolo di storia nazionale fino a, quasi, i giorni nostri, Fontana sembra volerci ricondurre alla responsabilità della memoria e di conseguenza delle nostre scelte quotidiane. In particolare la storia dell’ultimo secolo d’Italia viene raccontata a partire da un evento cruciale per il tipo di narrazione che si vuole proporre: un momento carico di conseguenze per tutti gli avvenimenti nazionali successivi. Come gli italiani sono nati da una sconfitta, sembra essere suggerito, i Sartori hanno origine da una diserzione che è al contempo rifiuto agito ed esclusione subita: scegliendo di cominciare con la disfatta di Caporetto, si parte insomma con una provocazione antieroica ed eticamente paradossale.

Disfatta di Caporetto

La consapevolezza teorica, documentaria e letteraria dell’autore si palesa come addensante narrativo e linguistico: ecco che in filigrana si colgono subito, accanto ai più espliciti omaggi a Levi, Rilke, Nietzsche, Roth, anche tracce di Gadda, Ungaretti, Prezzolini, Fenoglio, Céline, e perfino risonanza dei milanesissimi versi de L’è el dì di Mort, alegher! di Delio Tessa, accanto all’eco della tradizione antimilitarista e anarchica delle strofe di Gorizia tu sei maledetta. Tutto questo caleidoscopio di voci esplode nelle prime pagine della grande fuga dalla guerra per poi svilupparsi nell’intreccio della storia dei Sartori.

La massa, protagonista del Novecento, è sempre sullo sfondo, a ricordare che le vite dei vari personaggi sono sineddoche necessaria alla ricostruzione della storia di un intero paese: dietro di essa s’intuiscono le ombre dei vinti, ultimi ed esclusi, delle penne di Manzoni, Nievo, Verga, accanto alla personalissima ed esplicitata genealogia biografica dell’autore, che dichiara di essersi ispirato alle vicende del suo bisnonno, creando una sintesi, che è anche cortocircuito teorico, tra pubblico e privato, realtà e finzione.

La lettura di questo romanzo è una corsa inderogabile in cui il lettore insegue il testimone affidato via via ai vari rappresentati della saga, una corsa nel tempo lanciata in avanti dall’iniziale fuga di Maurizio il disertore.

Giorgio Fontana

I capitoli portano nei titoli l’impronta di un io che tende a trasformarsi in noi, in una metamorfosi che vorrebbe a volte essere un’evasione dalla storia stessa ma resiste invece faticosamente a questa tentazione, per ribadire la fiducia nel comune orizzonte di senso etico delle nostre vite.

Anche il registro lirico trova un suo spazio arioso nella scrittura di Fontana, soprattutto attraverso la dimensione paesaggistica, le cui descrizioni cadenzano, sospendendolo, il ritmo della narrazione che avanza. Una certa ambizione del dubbio a formulare riflessioni esistenziali di stampo filosofico e finanche teologico, trova infine una sua armonizzazione nella proposta poetica di un ethos della pietas.

Il secolo breve che l’autore propone ai lettori d’inizio millennio, è un secolo col fiatone cui talvolta viene chiesto di rallentare per trovare il tempo della riflessione e di un pensiero complesso, riconsiderando i bivi che abbiamo affrontato e le varie anime che occupano il nostro passato, per ricordarci che siamo esseri politici e sociali e che sta a noi rintracciare nel nostro DNA i colori di un impegno più consapevole e attivo, rinnegando il quale rinneghiamo noi stessi, rischiando anche la fine della nostra storia. E se la prima parola di queste 886 pagine di romanzo, “issatosi”, indica con una sdrucciola un movimento faticoso di elevazione, evasione da un paesaggio di paura, morte e distruzione, fuga che è anche istintivo rifiuto, vale la pena notare che l’ultima e conclusiva parola è invece un futuro tronco che ci suggerisce che tutto “ritornerà”.

Giorgio Fontana
Prima di noi
Sellerio, 2020

Monsignor Perlasca, Il pentito che ha affossato il Vaticano

È morto lo scrittore Daniele Del Giudice, ci lascia all’età di 72 anni