È disponibile una nuova edizione, la prima uscì nel 2005, di La Russia di Putin, per i tipi di Adelphi, libro inchiesta e denuncia scritto dalla giornalista ucraina naturalizzata americana, rimasta vittima di un attentato nel 2006
di Mimmo Cacciola
A rileggere le note di presentazione del libro La Russia di Putin oggi disponibile in una nuova edizione (Editore Adelphi, Traduzione di Claudia Zonghetti. La collana dei Casi, pagg. 375, 3ª ediz., € 24,00) scritte più di quindici anni fa c’è da restare basiti: un altro avvertimento ignorato. Un’altra analisi lucida, cristallina e pura, come una pallottola di diamante in piena fronte, per citare il colonnello Kurtz che tutti abbiamo più o meno volontariamente ignorato. Stiamo parlando di Anna Politkovskaja e del suo lavoro di ricerca, di analisi, di denuncia e soprattutto di inchiesta che è poi quello che dovrebbe fare un vero giornalista.
“Da qualche tempo l’Occidente – si legge nelle note – cerca di tranquillizzarsi sulla Russia presentando Vladimir Putin come un bravo ragazzo volenteroso. Ma ora questo libro di Anna Politkovskaja, giornalista moscovita nota per i suoi coraggiosi reportage sulle violazioni dei diritti umani in Russia, ci svela, in pagine ben documentate e drammatiche, tale autoinganno. Ed è un libro destinato a restare memorabile per la maestria e l’audacia con cui l’autrice racconta le storie (pubbliche e private) della Russia di oggi, soffocata da un regime che, dietro la facciata di una democrazia in fieri, si rivela ancora avvelenato di sovietismo. Ma non si pensi a una fredda analisi politica: «Il mio è un libro di appunti appassionati a margine della vita come la si vive oggi in Russia» scrive la Politkovskaja. E tanto meno si pensi a una biografia del presidente: Putin resta infatti sullo sfondo, anzi dietro le quinte, per essere chiamato sul proscenio soltanto nel tagliente capitolo finale, dove viene ritratto come un modesto ex ufficiale del kgb divorato da ambizioni imperiali”.
Quelle ambizioni imperiali che un quindicennio fa ci fecero sorridere e che ora ci fanno tremare, non solo noi Europei quanto forse il resto del mondo, La giornalista, indaga e raccoglie un materiale prezioso per fare la storia in diretta, non solo quella che essa stessa vive assieme ai suoi concittadini sulla propria pelle, quanto quella che si affaccia carica di tensioni e possibili conflitti. Tensioni e conflitti che sono ora scoppiati deflagrando nelle vite di innocenti spazzando via quel sogno di pace che faticosamente la vecchia Europa si illudeva di aver costruito e che sarebbe durato per sempre.
“In primo piano ci incalzano, invece, – concludono le note – squarci di vita quotidiana, grottesca quando non tragica: la guerra in Cecenia con i suoi cadaveri «dimenticati»; le degenerazioni in atto nell’ex Armata Rossa; il crack economico che nel ’98 ha travolto la neonata media borghesia, supporto per un’autentica evoluzione democratica del Paese; la nuova mafia di Stato, radicata in un sistema di corruzione senza precedenti; l’eccidio a opera delle forze speciali nel teatro Dubrovka di Mosca; la strage dei bambini a Beslan, in Ossezia”.
Tra le ultime cose scritte da Anna Politkovskaja, questa non può non suonare come monito e testamento spirituale, avvertimento di una Cassandra purtroppo, come tutte le Cassandre, ignorate o ascoltate troppo tardi: «Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov’è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l’ho con un tipico čekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino».
Anna Politkovskaja, classe 1958, nasce a New York perché figlia di due diplomatici sovietici di origine ucraina di stanza all’Onu. Studia giornalismo a Mosca e si laurea nel 1980. Nel 1982 inizia il suo lavoro di giornalista presso l’Izvestija, giornale moscovita che lascerà nel 1993. Dal 1994 al 1999 lavora come responsabile della Sezione Emergenze e come assistente del direttore Egor Jakovlev alla Obšcaja Gazeta, oltre a collaborare con radio e televisioni. Per la prima volta affronta la realtà cecena nel 1998 come inviata della Obšcaja Gazeta e intervista Aslan Maskhadov, da poco eletto Presidente della Cecenia. Dal giugno 1999 lavora per la Novaja Gazeta. Nello stesso periodo pubblica alcuni libri fortemente critici su Putin e sulla conduzione della guerra in Cecenia, Daghestan ed Inguscezia. Spesso per il suo impegno viene minacciata di morte, in particolare da Sergei Lapin, ufficiale di una polizia che dipende direttamente da Ministero degli Interni, tanto che nel 2001 è costretta a fuggire a Vienna. Denunciato e dopo alterni giudizi, Lapin verrà condannato definitivamente nel 2005. Numerose le visite in Cecenia della giornalista e il sostegno continuo alle famiglie i cui membri hanno subito abusi o uccisioni. Il suo terzo libro, Cecenia, il disonore russo, del 2003 provoca scalpore e nel 2004, mentre si sta recando a Beslan, durante la crisi degli ostaggi, ha un malore, probabile vittima di un tentativo di avvelenamento. La denuncia della persecuzione nei suoi confronti è esplicita nel 2005 durante la conferenza di Reporter senza frontiere a Vienna. Anna verrà ritrovata morta, un colpo di pistola alla testa la uccide, il 7 ottobre 2006 nell’ascensore di casa sua a Mosca. Il mandante è tuttora sconosciuto. Il giorno dopo le è sequestrato il computer con tutto il materiale relativo all’inchiesta che stava svolgendo. Solo alcuni appunti non sequestrati verranno pubblicati sulla Novaja Gazeta il 9 ottobre. Più di mille persone partecipano ai funerali della Politkovskaja, ma nessun rappresentante del governo russo.
Anna Politkovskaja
La Russia di Putin
Adelphi, 2022