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Guccini racconta la giovinezza perduta: un viaggio tra ricordi e ironia nel suo nuovo libro “Così eravamo”

Il leggendario Francesco Guccini, noto cantautore e scrittore che ha segnato generazioni di italiani, si riaffaccia sulla scena letteraria con un nuovo lavoro che sembra una “Spoon River” in prosa. Il libro, dal titolo “Così eravamo. Giornalisti, orchestrali, ragazze allegre e altri persi per strada” (Giunti Editore, pagine 192, euro 18), raccoglie cinque racconti che formano una sorta di romanzo di formazione, dove piccole storie personali si intrecciano con la grande Storia.

Guccini, con il suo stile ironico e impietoso, illumina momenti apparentemente ordinari che diventano straordinari grazie alla sua narrazione. Oggetti semplici come un portacenere rosso, ricordo di una giovinezza passata tra guerra e dopoguerra, vengono trasformati in potenti strumenti di memoria, vere e proprie madeleines proustiane che ci riportano emozioni dimenticate.

Un viaggio lungo la storia

Il libro è un viaggio tra le vicende di una vita vissuta tra l’Appennino e Modena, tra ricordi di persone scomparse e situazioni che riflettono la spensieratezza e la malinconia di un tempo che non c’è più. Guccini racconta episodi che vanno dalla morte improvvisa di un compagno di scuola, al duro cammino di un giovane giornalista di provincia in cerca di lavoro, fino alla vita di un orchestrale nelle balere e alla ricerca di senso di un sottotenente alle prese con esercitazioni militari.

Con una scrittura che mescola introspezione e ironia, Guccini ci offre un ritratto autentico di ciò che significa crescere e invecchiare, affrontando le perdite e le gioie della vita. “Meglio esserci stati, meglio aver visto, aver vissuto”, scrive Guccini, una frase che racchiude lo spirito del libro e della sua stessa esperienza di vita.

Un’opera che parla a chi ha vissuto quegli anni e a chi, attraverso la lettura, vuole riscoprirne le atmosfere. Francesco Guccini si conferma ancora una volta come un narratore capace di rendere straordinario ciò che è comune, con lo sguardo malinconico di chi sa che i momenti vissuti non torneranno più, ma che valeva la pena viverli.

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