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Afghanistan, intervista a Khaled Hosseini: “Non voltateci le spalle”

Ha raccontato il popolo afghano nei suoi romanzi, svelando le tradizioni, i colori e la bellezza di un paese, il suo, dilaniato da divisioni tribali, dalla competizione per il controllo delle vie dell’oppio e dalla guerra.

Oggi che l’Afghanistan è di nuovo in mano ai talebani, le storie raccontate dallo scrittore Khaled Hosseini – che, figlio di un diplomatico, ha lasciato Kabul quando aveva solo 13 anni ed è naturalizzato americano – tornano prepotentemente di grande attualità. Con tutta la loro forza evocativa.

“Ogni volta che si è parlato di Afghanistan in questi anni, i temi erano sempre gli stessi: violenza, traffico di droga e la guerra degli Stati Uniti. Del popolo afghano non si è quasi mai raccontato, un torto nel torto – racconta lo scrittore al Corriere della Sera -. Salman Rushdie una volta ha detto che chi vive in esilio vede il mondo attraverso uno specchio rotto: un pensiero che mi sento di condividere e di fare mio”.

“Sono cresciuto in un Afghanistan pacifico, dove i bambini avevano diritto ad un’infanzia felice. O quantomeno io posso dire di averla avuta. Era un posto molto, molto diverso da oggi, e vedere la bandiera dei talebani sventolare nel posto dove sono nato è devastante – confessa -. Sono preoccupato per le persone che si sono battute per i diritti umani. Ma in particolare per le donne coraggiose, resilienti e resistenti che sono entrate in politica, che sono diventate capi di polizia, governatrici provinciali, sindaci, che hanno promosso la causa delle altre donne. E ancora, per le ragazze coraggiose che sono andate a scuola nonostante le minacce. Sento il loro dolore. Sento la loro frustrazione. Sento la loro ansia. E sento la loro paura”.

Hosseini non si fida dei talebani. “In questo momento, il mondo intero li sta guardando, ogni telecamera puntata su di loro. Ma cosa succederà quando l’opinione pubblica inevitabilmente rivolgerà il proprio sguardo altrove e l’Afghanistan non occuperà più le prime pagine – si chiede – ? È allora che conosceremo davvero le loro intenzioni. Ed è allora che gli oppositori, le donne e le minoranze saranno maggiormente in pericolo. Ora gli Stati Uniti e l’Europa devono accogliere tutti collaboratori che hanno abbandonato nel cuore della notte. Non è il momento di voltare le spalle agli afghani. Inoltre spero di vedere i leader della coalizione internazionale fare tutta la pressione diplomatica possibile sui talebani affinché rispettino i diritti dei giovani e delle donne, e non governino il Paese attraverso la violenza e l’intimidazione come già hanno fatto in passato”.

E sul perché negli ultimi 20 anni in Afghanistan non si sia creata una coscienza democratica che oggi avrebbe impedito il ritorno degli estremisti ha le idee chiare. “Una delle ultime volte in cui sono stato in Afghanistan era il 2003. Il Paese era attraversato da un’ondata di ottimismo per quella che sembrava una democrazia semi-jeffersoniana, caratterizzata da uguaglianza di genere, diritti per ragazze e donne, un processo politico aperto e rappresentativo. Poi con il passare degli anni le cose sono cambiate – ricorda -. Abbiamo iniziato a ridimensionare le nostre aspettative pensando che la democrazia fosse un sogno irrealizzabile. Abbiamo accettato il compromesso di una democrazia apparente, annacquata dalla corruzione e dall’incapacità dei nostri governanti. Ma almeno c’era l’illusione di essere al sicuro. I progressi degli ultimi vent’anni ci avevano dato una speranza. Poi dal 2018 queste speranze hanno iniziato a diminuire. E nelle ultime settimane si sono letteralmente sbriciolate”.

L’unica speranza per il futuro de suo popolo passa dalla cultura, la cosa che più manca in Afghanistan. “Molte persone si sono affidate ai miei romanzi per avere un’idea di cosa sia l’Afghanistan, e tutto ciò mi onora e mi riempie di gioia. Ma la narrativa non basta per comprendere il mondo – conclude -. Serve leggere. Libri di storia, ma anche autori come Fariba Nawa, giornalista e autrice meravigliosa, che ha scritto ‘Opium Nation: Child Brides’, ‘Drug Lords’ e ‘One Woman’s Journey Through Afghanistan’. È il suo personale ricordo di una famiglia coinvolta nel commercio dell’oppio in Afghanistan. Ma non parla solo del traffico di droga e della guerra: offre uno spaccato della società afghana degli ultimi 30 anni”.

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