Nel romanzo “L’idiota” di Fedor Dostoevskij, c’è un passaggio indimenticabile in cui un uomo, consapevole di essere sul punto di essere giustiziato, riflette sul valore dei suoi ultimi cinque minuti di vita. Questi momenti, dice, sembrano interminabili, un’opportunità immensa. Nulla è più doloroso del pensiero che si potrebbe evitare la morte, che si potrebbe tornare indietro nel tempo e trasformare ogni minuto in un’eternità. Viene da chiedersi se queste parole siano risuonate nella mente di Ossip Bernstein mentre si trovava di fronte al plotone di esecuzione, con i fucili puntati contro di lui e altri sei “nemici della rivoluzione”.
È il 1918 a Odessa, in piena guerra civile russa. Ossip Bernstein è un banchiere ebreo di successo, laureato a Heidelberg, in Germania, e sposato con una donna conosciuta in un bordello. Ha due figli piccoli, Isacco e Giacobbe. Fuggito da Zhytomyr, la sua città natale in Ucraina dove vivono ancora i suoi genitori, Bernstein cerca rifugio a Odessa, sperando di poter lasciare la Russia, un luogo ostile per gli ebrei e soprattutto per i banchieri, anche se Lenin e Trotskij condividono le sue stesse origini. Con i bambini affamati, Bernstein decide di rischiare tutto per trovare un pezzo di pane. Viene però fermato a un posto di blocco dalla Ceka, la temuta polizia segreta bolscevica, e arrestato immediatamente. Processato e condannato, è destinato a morire con altri sei sventurati. I soldati prendono la mira, ma un ufficiale di origine armena lo riconosce: “Ossip Bernstein? Come il campione di scacchi?”. Con una forza inaspettata, Bernstein risponde: “Sì, sono proprio io”. L’ufficiale, incredulo, lo sfida: “Sono un buon giocatore dilettante, se tu sei quel Bernstein, dovresti battermi facilmente. Se vinci, sei libero”.
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La straordinaria vicenda di Ossip Bernstein – il cui nome ricorda l’undicesimo figlio di Giacobbe e Rachele nel libro della Genesi – è al centro dell’ultimo romanzo di Enrico Franceschini, “La mossa giusta”, edito da Baldini+Castoldi nella collana I Lemuri. La narrazione attraversa la caduta degli zar, l’ascesa dei bolscevichi, la persecuzione degli ebrei ben prima dei lager nazisti, e la fuga incessante attraverso l’Europa. Bernstein, brillante avvocato d’affari a Mosca, è all’inizio del Novecento uno dei più forti scacchisti del mondo, il nono nella classifica internazionale. Ha imparato a giocare all’università, innamorandosi del gioco grazie ai compagni di studi. Gli scacchi gli regalano una gioia indescrivibile. Dopo solo quattro mosse, le possibilità di ogni partita sono miliardi: per Ossip, nemmeno la vita sembra avere tanta fantasia. Un suo maestro gli aveva spiegato che a volte il cervello suggerisce una mossa, ma è l’istinto a compiere quella giusta per dare scacco matto.
Ora, a soli 36 anni, Ossip è seduto di fronte all’ufficiale armeno e deve vincere senza umiliarlo davanti ai suoi soldati. Gli concede le torri, poi persino la regina. Sembra in difficoltà, ma è solo una strategia, la stessa usata in una partita storica conosciuta come “Immortale”. In appena quattordici mosse, Bernstein sconfigge l’ufficiale. Questi, pur contrariato, rispetta il patto e lo libera.
La “mossa giusta” da cui dipendeva la sua vita segna l’inizio di un’incredibile avventura per Ossip Bernstein, che attraversa la Parigi degli anni ruggenti, il crollo della Borsa di Wall Street, la Seconda guerra mondiale e l’Olocausto, per concludersi durante la guerra fredda, quando Stati Uniti e Unione Sovietica si confrontano in una sfida che potrebbe degenerare in un conflitto nucleare. Anche in quel caso, l’esito dipende da una scacchiera, dove non ci si può permettere di distrarsi. Come diceva Sigmund Freud, “la vita somiglia al gioco degli scacchi, in cui basta una mossa falsa a farci perdere la partita. Con l’aggravante che, nella vita, non sempre possiamo contare sulla possibilità di una rivincita”.