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“Il neoimpegno fa male alla letteratura”. Walter Siti, critica ai letterati odierni

di Béatrice Sciarrillo

Lo scrittore è implicato, qualunque cosa faccia, è in situazione nella sua epoca, ogni parola ha i suoi echi, ogni silenzio anche.

Dentro questa sentenza sartriana, che professa l’ineluttabile interdipendenza tra realtà e letteratura, si trova la premessa dell’ultimo pamphlet di Walter Siti, Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura, edito dalla casa editrice Rizzoli.

In setti illuminanti saggi (pubblicati precedentemente in L’età del ferro, rivista fondata dallo stesso Siti con Alfonso Beradinelli e Giorgio Manacorda), Walter Siti riprende in mano i suoi “attrezzi un po’ arrugginiti di critico letterario” per offrire un’acuta diagnosi dell’odierno ecosistema letterario, sulla base dei sintomi riscontrati nell’opera di autori contemporanei, tra cui Saviano, Murgia, Carofiglio, D’Avenia, messi sott’accusa per il loro modo di concepire il mestiere di scrittore e il rapporto tra letteratura e realtà.

La letteratura, – scrive Siti – è sempre, necessariamente, coinvolta, implicata e, a volte, anche compromessa dalla concreta e tangibile quotidianità umana: folle chi crede che la letteratura goda di una sua autonomia disinteressata e imperturbabile di fronte ai fatti della realtà. Ancora più folle chi individua il criterio di valutazione di un’opera d’arte nella sua efficacia – nella sua “utilità biologica” – e non, invece, nel suo valore qualitativo.

Nella nostra epoca storica, l’arte ha finito per divenire un mero prodotto del mercato che dev’essere fabbricato tenendo conto degli eventuali effetti benefici e/o nocivi che può esercitare sul futuro fruitore.

Costui, lungi dall’avvalersi dell’azione creativa come risposta reattiva alla “rimozione inconscia” – operata dall’io individuale e sociale nei confronti della propria essenza ambigua e irrazionale – viene, invece, protetto, rassicurato, “coccolato” dall’azione creativa e dal suo prodotto.

In quest’ottica, Siti si dimostra, fortemente, critico nei confronti del neo-impegno – neologismo dello stesso Siti – dei letterati odierni, che nulla ha a che fare con l’engagement letterario, professato da Sartre.  

Il compito che il nuovo impegno si pone è, infatti, più concreto ed effettivo di quello sartriano e consiste nel fare della letteratura un’arma, un appoggio, un urlo salvifico la cui voce di presunta verità deve “arrivare” alla maggior parte delle persone possibile. E, per far sì che ciò avvenga, è necessario condurre un dissacrante processo di semplificazione e trascuramento della forma a favore del contenuto, ed è considerare legittimo, e conveniente, allontanare la letteratura dal suo piedistallo elitario – farla scendere dalla sua “torre d’avorio” per portarla “in trincea” – affinché tutti possano fare letteratura ed essere letterati. Siti è, invece, orgogliosamente consapevole del fatto che la letteratura è una tecnica esclusiva di una minoranza di persone specializzate e competenti che dedicano tutta la loro vita a questa. 

Walter Siti

L’avvento del neo-impegno – neologismo di Siti – è strettamente correlato al risveglio della storia a partire dall’anno del crollo del muro di Berlino. Infatti, è come se, nel momento in cui la storia ha ripreso a correre, gli intellettuali abbiano cominciato a provare un senso di colpa nei confronti del tragico esistente e si siano sentiti in dovere di rimediare alla situazione di emergenza, che si trovavano a fronteggiare, attraverso la potenza e l’influenza delle parole scritte. “Le parole sono importanti” – diceva Nanni Moretti – ma non avrà, forse invece, vita breve quella parola scritta che asseconda l’assurda pretesa di voler a tutti parlare e di essere da tutti – democraticamente – accolta e compresa? Come sostiene Nietzsche in La nascita della tragedia, relativamente alla morte della tragedia posteuripidea, così, anche la letteratura comincia a morire nell’istante in cui l’autore si pone il problema di quello che il pubblico può capire della sua opera: non appena l’artista si “abbassa” al pubblico, allora perde quello che era l’arte, e la sua funzione di παιδεία.

Il pericolo che, in aggiunta, Siti individua è che, assegnando maggiore importanza al contenuto, si finisca, poi, per oscurare – censurare – brani di alto livello formale, perché fondati su presupposti morali non condivisibili dal lettore attuale, proprio perché quei principi sono figli del loro periodo storico.

Cosa fare dunque di fronte a tutte quelle posizioni misogine, razziste, discriminatorie di cui la letteratura pullula? La risposta che Siti dà a questo interrogativo è chiara: è necessario riconoscere la bellezza di un testo “nella sua interezza”, con tutte le sue contraddizioni e ambivalenze.

Per concludere, l’intento di Walter Siti è volutamente polemico e provocatorio, senza, però, toccare punte irrispettose od oltraggiose nei confronti del lavoro letterario altrui. E’ un aculeo che punge il lettore, che infastidisce, che insinua, in lui, una sensazione di malessere interiore, ma, che, nello stesso tempo, lo mette in contatto con le sue ambiguità e le sue zone d’ombra, perché “il maggiore obiettivo della letteratura non è la testimonianza, ma l’avventura conoscitiva”.

Walter Siti
Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura
Rizzoli, 2021

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