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Gli “Spatriati”, alla continua ricerca di un futuro e di un’identità

Due amici, due ragazzi che raccontano in prima persona, come io narrante, la storia della loro amicizia, iniziata anni fa a scuola a Martina Franca, il loro paese d’origine. Claudia entra nella vita di Francesco in una mattina di sole, nell’atrio della scuola: è una folgorazione, la nascita di un desiderio tutto nuovo, che è soprattutto desiderio di vita. Cresceranno insieme, bisticciando come l’acqua e il fuoco, divergenti e inquieti. Lei spavalda, capelli rossi e cravatta, sempre in fuga, lui schivo ma bruciato dalla curiosità erotica. Sono due spatriati, irregolari, o semplicemente giovani.

Francesco Veleno e Claudia Fanelli sono gli “Spatriatiati”, i protagonisti dell’ultimo, pieno di emozione, romanzo di Mario Desiati, che racconta la vita di due giovani pugliesi cresciuti a cavallo del Duemila, “spatriati” appunto, alla ricerca di un futuro e un’identità, liquida come diceva Baumann, ma positivamente, come apertura e liberazione, anche a costo di sentirsi vivi grazie a ferite profonde nell’alternarsi di dolori e godimenti.

Francesco è moro, nero, “uva nera” come lo chiama sua madre, insicuro, timoroso, legato alle tradizioni anche religiose della sua terra, sempre in bilico tra un “vorrei” è un “non posso”, inadeguato di fronte alle esperienze e ai desideri che mano a mano si trova ad affrontare. Claudia ha capelli rossi, sfavillanti come marasche, pelle lunare e occhi di due colori diversi: è anticonformista, ribelle, nomade, ama la poesia e i libri e insegna anche a Francesco ad amarli.

Lui resta e l’aspetta, perché aspettarla diventa lo scopo della sua vita. Lei gira il mondo ma poi periodicamente torna, perché nel suo girovagare, e nella loro completa inadeguatezza di fronte alla vita, quel legame è un punto fermo.

La libertaria Berlino degli anni Duemila diventa il posto in cui riunirsi: Desiati, inseguendo Francesco e Claudia, dando voce all’inquietudine di uno e dell’altra (ogni tanto anche lei in prima persona) in capitoli che prendo titolo e senso da una parola dialettale o da una tedesca, racconta tutto con bel ritmo e una lingua colta e raffinata sino a mostrare la levità della naturalezza e mantiene sempre un sguardo aperto, così da non far dimenticare mai che alla base c’è un desiderio di fuga e indipendenza dalle oppressioni del provincialismo italiano.

I due lo vivono sulla propria pelle grazie pure allo scandalo della madre di lui e il padre di lei che diventano amanti (“spatriati” anche loro), ma di cosa quelle convenzioni rappresentino hanno coscienza grazie anche alla cultura, alla frequentazione della letteratura pugliese (che l’autore recupera con molte citazioni di opere e autori, da Bodini a Marniti) libera e al fondo come sempre universale.

Un romanzo sull’appartenenza e l’accettazione di sé, sulle amicizie tenaci, su una generazione che ha guardato lontano per trovarsi.

Mario Desiati
Spatriati
Einaudi

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