di Giorgio Nisini
Sei brevi domande a Giulio Perrone sul suo nuovo romanzo, America non torna più
1. Partiamo dal titolo: “America non torna più”. Chi è America?
America è stato uno dei componenti storici del gruppo di amici con cui mi padre è cresciuto sin da ragazzo. Il più estroso, controverso e sfuggente ma anche affascinante. Intorno a lui ruotano tante delle storie che mio padre mi raccontava di continuo e che hanno costituito per me un punto di partenza per tutta la narrazione.
2. Il grande tema del tuo libro è “il padre”, la paternità vista dagli occhi di un figlio, il rapporto tra un padre e un figlio. Lo annunci con una bellissima epigrafe di Philip Roth: «devo ricordare […] ogni cosa con precisione, in modo che quando se ne sarà andato io possa ricreare il padre che ha creato me». Siamo noi figli a ricreare i nostri padri?
Penso di sì, soprattutto li interpretiamo in un modo che forse non corrisponde neanche alla realtà ma che ci permette di convivere con loro o, come in questo caso, con il loro ricordo. Questo libro ha avuto molto a che fare con la ricostruzione di quello che avevamo vissuto insieme, delle distanze e degli scontri, dei compromessi e di tutto quello che è
rimasto in sospeso tra noi.
3. Questo libro rappresenta una frattura con i tuoi lavori precedenti: cosa è cambiato in te, nella tua scrittura, e in che direzione stai andando?
Sento che questo libro rappresenta una svolta anche rispetto a quello che vorrei fare in futuro come autore. Credo però che qualcosa del tono lieve dei primi libri sia rimasto qua e là e mi abbia permesso di arrivare fino in fondo e affrontare una sfida così difficile.
4. Tu sei un editore: come e perché ha deciso, a un certo punto, di passare dall’altra parte, e come questo ha cambiato – se ha cambiato – il tuo modo di fare i libri degli altri
La scrittura c’era già prima che cominciassi a fare l’editore ma per molto tempo l’ho messa da parte per occuparmi solo dei libri degli altri. In un secondo momento ho capito che i due percorsi non necessariamente fossero in conflitto tra di loro. Pubblicare mi ha fatto capire qualcosa in più della psicologia di chi scrive e mi ha reso più indulgente e comprensivo verso qualche stranezza che ogni tanto viene fuori.
5. Roma e la Roma. Nei tuoi libri sono due costanti: d’ambientazione, di scenografia, di fede calcistica. Cosa rappresentano queste due geografie nella tua storia di scritture e nei tuoi libri?
Roma per me è il palcoscenico ideale perché da sempre vivo qui e ne conosco gli umori, i meccanismi, il sottotesto. Non ho mai pensato di ambientare un libro in un luogo diverso anche se si tratta di una sfida da cogliere prima o poi. La Roma invece è la passione e anche la condivisione della passione come nel caso del rapporto con mio padre in cui ha giocato un ruolo fondamentale. Al di là del tifo mi interessa sempre il risvolto sociale, la narrazione che costruisce.
6. è scontato parlare di rapporto con la biografia, ma chi ti conosce sente che la tua finzione è sorprendentemente piena di realtà. In questo libro sei andato più verso l’autofiction di quanto hai fatto in passato? In modo totalizzante direi. In un libro così ho capito dal primo minuto che non avrei potuto nascondermi e che non avrei potuto fare sconti a nessuno, soprattutto a me stesso
Giulio Perrone
America non torna più
HarperCollins