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“Apro gli occhi”, viaggio tra Milano, Monza, e il mondo ultraterreno

Di Tommaso Landini

«Siamo pedine in mano a giocatori disumani che ci muovono sulla scacchiera dell’orrore. Pantomime. Sciarade. Profezie da fare avverare.»

Cosa succederebbe se un impiegato prossimo alla pensione si imbattesse in una rete di cospiratori di altissimo livello che compie efferati omicidi rituali, dei quali fanno incolpare altre persone per inviare segnali e trasmettere messaggi in codice a chi li può comprendere?

“Apro gli occhi” è una storia molto particolare, ambientata fra Milano, Monza, e il mondo ultraterreno, in un arco temporale che va dal 1944 al 1992, inedita nella trama e nella sua composizione.

Le vicende di Cesare, Settimio, dei due aspiranti brigatisti rossi Margherita e Roberto, si intersecano come tessere di un puzzle, che via via vanno ad unirsi in un’unica trama che le comprende e le unisce. Sullo sfondo ci sono il secondo dopoguerra, il terrorismo nero e rosso degli anni ’70, l’Italia sullo orlo dello scoppio di Tangentopoli, a inizio anni ’90. Questo è un romanzo che definirei tarantiniano: come in Pulp Fiction, diverse storie e diversi piani narrativi, ciascuno con diversi protagonisti, si intrecciano fino a diventare un unicum. Di tarantiniano c’è anche una marcata traccia di violenza: se in alcune parti rimane tra le righe, celata ma ben presente, in altre invece viene resa evidente e manifesta.

Non è facile rendere al lettore, con chiarezza e coerenza, un plot di questo tipo: Vergari ci riesce, eccome. Coniugando diversi generi letterari, dall’horror al giallo, dal noir al romanzo storico/d’attualità, l’autore coinvolge il lettore e lo rende partecipe della vicenda narrata dal di dentro. Lo fa a volte esplicitandosi come narratore, guidando lo sguardo di chi legge; altre volte nascondendosi negli occhi e nelle parole dei propri personaggi. Di questi ultimi è abile nel dipingere il vissuto interiore: i pensieri rivoluzionari di Roberto e Margherita, la solitudine e la spiritualità ritrovata di Serafini, la semplicità e la fede di Dominici. La componente ultraterrena dell’esistenza, talvolta dimenticata e ritrovata, è il tema che attraversando l’opera riempie di significato le vite dei protagonisti. Sotto i diversi livelli di lettura del romanzo, la potenza delle parole, manifesta e subliminale, è il motore che aziona e condiziona i comportamenti umani.

“Apro gli occhi” è un piccolo capolavoro, che vi consiglio di leggere. Il suo giusto coronamento è un finale straniante ma in realtà assolutamente in linea con le pagine che lo precedono: cupo, greve, ma al tempo stesso intriso di spiritualità e (possibile) redenzione.

Dario Vergari
Apro gli occhi
Brè, 2021

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