Di Marianna Scibetta
L’estate è anche il tempo della lettura, a volte di una lettura ricercata, per soffermarsi sulle belle indagini e su quegli interessi particolari che si approfondiscono per curiosità antiche o nascenti.
Una recente lettura del saggio “Gabriele D’Annunzio nel Palazzo dei Medici di Ottaviano” di Raffaele Urraro, Marcus Edizioni, ci rimette piacevolmente e curiosamente sulle tracce del Vate della letteratura italiana nella veste più sconosciuta che la nostra memoria conserva.
Il professor Urraro ha condotto diversi studi biografici di grandi autori della letteratura italiana, ci conduce questa volta tra i carteggi e le lettere autografe di Gabriele D’Annunzio alias Andrea Sperelli, nel suo soggiorno forzato ad Ottaviano, città sulle pendici orientali del massiccio vulcanico di Somma-Vesuvio con la sua splendida natura che ispira al Vate i versi del canto “Le Foreste”.
Con una scrittura elegante ed aggraziata Urraro ci conduce ad Ottajano in quel lontano 14 ottobre 1892, in una stagione autunnale dai colori splendidi nelle aree boschive di quel paesaggio che fece da cornice al suo soggiorno, da fuggiasco e da rifugiato, insieme alla sua nuova amante Maria Gravina Cruyllas di Ramacca.
I due, a Palazzo dei Medici di Ottajano, ci erano arrivati proprio perché la contessa Gravina, moglie del conte Anguissola di San Damiano, madre di quattro figli, fu sorpresa dal marito durante un convegno adulterino col suo amante D’Annunzio conosciuto in ambiente aristocratico a Napoli.
Fu Felicita Gallone, ultima principessa di Ottajano, a rifugiarli, forse per richiesta di Matilde Serrao, nella sua splendida residenza, nel grande castello – fortezza di Palazzo dei Medici dove, già nel tardo periodo autunnale, D’Annunzio e la sua amica, i figli di lei e una bambinaia a servizio della Gravina cominciarono a patire il freddo e la vita solitaria.
Nella sua raffinata disamina Urraro entra nei carteggi delle lettere e dei telegrammi scritti ed inviati da Ottaviano durante quel soggiorno e periodo della sua vita che D’Annunzio definì della “contemplazione della morte” e “di splendida miseria” tanto furono i disagi, le ristrettezze economiche e la sofferenza che il poeta dovette affrontare con grande pena e che ci restituiscono un lato sconosciuto di persona afflitta dai debiti, perseguitata dalla giustizia per una condanna per adulterio (con la scongiurata pena di ben cinque mesi di reclusione); una vita presa dalla gravosa necessità di chiedere continuamente prestiti per la sopravvivenza e costantemente, tenacemente impegnata nell’attività creativa letteraria necessaria in tutti i sensi al poeta e letterato aternino.
Le lettere del D’Annunzio sono in genere ritenute “Registri di scrittura” [Angelo Raffaele Pupino] e tale sembra essere la corrispondenza emessa da Ottaviano in quegli anni.
Si tratta di cinque lettere a Georges Herelle traduttore francese del romanzo L’Innocente, trama discussa e ritenuta immorale in Italia, che uscì a puntante sul giornale Temps di Parigi, lavoro che invece riscosse un enorme successo di pubblico e di critica e che gli valse i diritti d’autore, cifre indispensabili per risollevarsi economicamente e poter provvedere, almeno per un periodo, al difficile ménage familiare.
Le lettere all’Herelle restituiscono anche la dolcezza del paesaggio di Ottaviano, la luce tiepida e piacevole di un’estate di San Martino capace col suo calore di alleviare le sofferenze e le ristrettezze e di ricordare quel soggiorno sulle falde del Vesuvio come un luogo dotato di un fascino naturale degno di tramutarsi in una sottile aura e divenire Musa ispiratrice.
Della ricerca fanno parte anche le lettere all’amata Barbara Leoni, in particolare la lettera del 3 novembre del 1892 e la successiva del 15 novembre in cui D’Annunzio con toni strazianti scrive alla sua Barbarella dell’enorme umiliazione che vive, la prostrazione per aver rinunziato ai suoi piaceri e soprattutto a Lei medesima, unica anima a cui poter confidare tutto come ad una sorella. Nelle lettere a Barbara traspare l’amarezza della vita ad Ottajano come città priva di tutto, di alberghi e persino di quelle frequentazioni che arricchivano la sua vita sociale, di cui il poeta non poteva davvero privarsi, tanto che frequentemente si recava a Napoli dove poteva intrattenersi con i suoi amici e poteva coltivare i suoi rapporti letterari ed editoriali. Le lettere a Barbara contengono anche l’insostenibile peso delle parole che egli muove per dirle la verità, il poeta confessa la nuova relazione e deve dire un addio che non sarà mai definitivo alla sua amata, colei che prima si fa accogliente e malinconica poi, successivamente saputa da lui la verità si indurisce.
Ma del periodo di Ottaviano, Urraro esamina anche le lettere del suo amico autentico, forse il solo che accoglie le sue richieste di aiuto, che lo sostiene con pazienza e lo sopporta con fraterna generosità, si tratta dell’avvocato Pasquale Masciantonio di Casoli, personaggio interessante, figlio di un illustre famiglia conterranea di D’Annunzio che a soli 26 anni divenne sindaco di Casoli e poi sottosegretario di Stato al Ministero delle Poste e Telegrafi e successivamente alle Finanze.
Il Masciantonio raccoglieva le sue richieste accorate e gli prestava somme quasi mai restituite per permettergli la sopravvivenza quotidiana o per levarsi da difficili e meschini imbarazzi nei confronti dei creditori più disparati, era odiato da Maria Gravina, gelosa della loro amicizia, la quale lo riteneva responsabile del loro stretto e acceso “parlar sempre di donne”. Masciantonio è invece l’amico fraterno che interviene sempre ed in modo salvifico, soprattutto quando D’Annunzio allude al suicidio e si firma col nome di Andrea Sperelli per pudore e disperazione.
La ricerca presentata in questo pregevole volume è un viaggio di scoperta della psicologia più intima, complicata, contraddittoria di D’Annunzio, semplice mortale che deve cavarsela da equilibrista tra le sue passioni amorose, le amicizie vere e presunte, i rapporti letterari con le case editrici e con il traduttore, George Herelle, con il quale si dimostra molto pignolo fino a risultare pedante e si scopre, con ironia, che esigeva una precisione superiore alla cura che avesse egli verso gli altri.
Scopriamo nelle pagine di Urraro un D’Annunzio che come Andrea Sperelli si dimena tra le alterne passioni rimanendo legato all’amata Barbara, unica vera donna con cui egli riesce a confidarsi intimamente, ma che abbandona per Maria Gravina da cui avrà una figlia, Renata, l’unica veramente amata. La Gravina sarà poi abbandonata per l’affascinante attrice Eleonora Duse.
Andrea Sperelli/Gabriele D’ Annunzio riflessi in uno specchio inclinato dove il Vate, il raffinato esteta, il Super Uomo, colui che pochi anni dopo compirà il volo su Vienna mostra tutta la sua fragilità nelle lettere accorate del suo soggiorno nel bel Palazzo Mediceo situato nella parte alta di Ottaviano e va, meditando e minacciando il suicidio quasi impersonando l’aforisma dell’Uomo Folle che accende una lanterna di giorno, corre al mercato e grida: “Cerco Dio! Cerco Dio!” di nietzschiana memoria.