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Spie senza patria, gli ebrei-arabi eroi di una nuova nazione

Di Enzo Raisi

“Spie di nessun paese. Le vite segrete alle origini di Israele” di Matti Friedman, edizione Giuntina, è la storia di quattro spie, agli albori della nascita di Israele, componenti della Sezione Araba denominata “l’Alba” del Palmach, organizzazione d’elite  dell’Haganah, il corpo paramilitare nato nel 1920 per difendere gli insediamenti ebrei in Palestina. Il Palmach nacque nel 1941 in accordo con le autorità britanniche in supporto alla guerra contro i nazisti che avevano nel mondo arabo molti alleati, a cominciare dal Gran Mufti di Gerusalemme Amin al Husseini.

Alla fine della II guerra mondiale il Palmach divenne fondamentale nella prima guerra arabo israeliana che portò alla fondazione dello stato di Israele per poi diventare la base di costruzione dell’attuale Mossad, l’agenzia di intelligence più famosa al mondo, insieme alla Cia americana.

I quattro protagonisti del libro, Gamliel Cohen alias Yussef, Yitzhak Shoshan alias Abdul Karim, Havakuk Cohen alias Ibrahim e Yakuba Cohen alias Jamil provengono da comunità ebree nei paesi arabi e per questo utilizzati nelle opere di spionaggio in quei territori. Conoscendo perfettamente lingua e costumi del mondo arabo per loro era più facile infiltrarsi ed essere confusi con i locali arabi mussulmani o cristiani.

Matti Friedman

L’autore attraverso la testimonianza di uno dei sopravvissuti, Yitzhak, e la lettura dei documenti dell’epoca, desegretati recentemente dal governo israeliano, racconta la storia dei quattro eroi e della famosa sezione Araba del Palmach, composta esclusivamente da ebrei arabi che avevano lasciato le loro famiglie nei paesi di origine per contribuire al grande sogno della rinascita della terra dei padri.

È una storia incredibile, fatta da uomini che combattevano praticamente senza mezzi, accumulando esperienza di intelligence sulla propria pelle, consci che la loro scoperta significava morte sicura. Erano uomini e donne mossi da una forza ideale incredibile, la stessa che ancora oggi fa del popolo d’Israele una realtà unica al mondo. È la forza dell’idea di tornare a riunirsi dopo la diaspora nella terra dei Padri.

Il libro cala perfettamente il lettore nell’atmosfera di quegli anni, descrivendo le realtà dell’epoca, le tensioni, la nascita di quell’odio tra mondo arabo e ebreo che ancor oggi mantiene quell’area in una situazione di guerra continua.

Durante la lettura vengono ben spiegate le dinamiche che caratterizzarono il primo conflitto arabo israeliano. Conflitto che, attraverso vicende che possono apparire talvolta casuali, frutto di errori da una parte e di forza ideale dall’altra, portò alla creazione dello stato di Israele. Un progetto in itinere dove le forze all’inizio erano sproporzionate a favore del mondo arabo, unito nell’intento di bloccare il progetto della nascita del nuovo stato composto principalmente da ebrei, con il resto del mondo per lo più osservatore preoccupato.

Quello che risulta incredibile è la capacità di questi uomini e donne ebree nel portare avanti un progetto contro tutto e contro tutti, un’idea che sembrava impossibile e che invece alla fine venne realizzata.

All’inizio del secolo scorso infatti l’idea sionista non era la realizzazione di uno stato di Israele, ma il ritorno alla terra degli avi con costruzioni di microcomunità, quali erano i Kibbutz, autosufficienti collettività laiche dove l’unica religione era un socialismo ideale. I primi sionisti venivano dai paesi europei, non erano integrati con la cultura locale, cosicché quando dalle comunità ebree residenti nei paesi arabi si mossero i primi volontari ci furono scontri brutali tra le due realtà, che avevano culture diverse e probabilmente progetti diversi. Per capire lo scontro politico oggi presente in Israele bisogna partire proprio da lì, da quelle due comunità di ebrei, fratelli di religione che per secoli hanno vissuto in mondi diversi.

Dalla vita dei quattro protagonisti il lettore apprende anche la tragedia che stava nascendo e che successivamente diventò sempre più grave e drammatica. È la tragedia delle comunità ebraiche che vivevano e vivono nei paesi arabi, considerati nemici in patria e per questo discriminati e spesso oppressi.

È anche la storia di uomini che fanno una vita con una doppia identità, causa di stress psicologico, che in situazioni di estremo pericolo, con tensioni continue e perdite di amici e colleghi, tentano comunque di condurre una vita normale, cercando anche l’amore e i piaceri della vita terrena, anche i più banali.

È un libro sicuramente da leggere per capire il conflitto medio orientale, la politica israeliana e la forza di un piccolo Paese considerato dal punto di vista militare, culturale, sociale ed economico tra i più forti al mondo. Ma soprattutto è un libro che per lettori come me che hanno vissuto a lungo in Medio Oriente, per respirare il clima e l’atmosfera di quell’area del mondo.

Sublime e accattivante la descrizione del Libano pre guerra civile, quando poi fu spazzato via da un conflitto che lo ha devastato e di cui ancor oggi ne paga le conseguenze.

Un libro che non può mancare a chi ama le storie alla John Le Carré perché, come diceva il noto scrittore inglese: “lo spionaggio è il teatro segreto della nostra società.

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